Cari amici,
l'invito caloroso di Jean-Claude Trichet a essere oggi qui con voi per celebrare il decimo anniversario della Banca centrale europea e del Sistema europeo di banche centrali mi colse di sorpresa. Esitai per il prevalere di considerazioni di prudenza dettate dall'anagrafe. Poi nel mio intimo, il richiamo, prepotente, dell'istituzione banca centrale, dove per quarantasette anni ho speso la mia vita professionale, ha dissolto ogni incertezza.
Questo appuntamento dal significato storico è per me un tornare a casa; un ritrovare alcuni di coloro con cui ebbi a condividere, fin dai primi passi, il cammino che ci avrebbe condotto all'euro e alla Banca centrale europea.
Ho ancora vivissimo il ricordo di quella riunione di. Basilea dell'aprile del 1989, la cui durata si protrasse eccezionalmente ben oltre il consueto inizio della seconda settimana di ogni mese. Fummo impegnati fino al mercoledì: era il 12 del mese e il Comitato Delors teneva la sua riunione finale.
Alle 17,30 il Rapporto, sul cui contenuto fino alla sera precedente ci dividevano ancora sostanziali contrasti, veniva approvato all'unanimità. L'ultimo ostacolo fu superato sostituendo un "should" con un "could". Inusuale per gli austeri costumi della Banca dei regolamenti internazionali, una coppa di champagne suggellò la conclusione dei lavori. Brindammo trepidanti e insieme fiduciosi che l'Ecu sarebbe divenuto la moneta unica europea.
Avevamo posto la pietra angolare. Consapevoli che l'unione economica e monetaria era un traguardo ambizioso, avevamo indicato "the conditions under which such a union could be viable and successful". Avevamo definito il contenuto e la progressione degli avanzamenti necessari per raggiungere l'obiettivo.
Del Comitato Delors ricordo tutti i componenti; con un velo di commozione l'amico Wim Duisenberg, futuro primo Presidente della Banca centrale europea.
Ritrovarsi intorno a questa tavola e scorgere volti familiari, di colleghi governatori e di coloro che allora erano giovani e brillanti funzionari, segna lo scorrere del tempo. Trasmette un senso di rassicurante continuità, dove tradizione e cambiamento, prudenza e coraggio, rigore e flessibilità sono solo modi diversi di declinare l'arte del banchiere centrale. Suona conferma del valore delle istituzioni, alle quali la volontà e il lavoro degli uomini danno vita, una vita destinata a travalicare l'azione di chi in quel momento vi opera.
Quella del banchiere centrale è un'arte alla quale occorre applicarsi con spirito di apprendisti umili e tenaci, rispettosi di canoni e prassi e nondimeno aperti a sperimentare strade nuove. Non vi è schema, infatti, per rigoroso che sia, il quale possa sottrarre il banchiere centrale alla necessità di esercitare quest'arte: non arbitrio ma saggia discrezionalità negli interventi; perseveranza nel perseguire gii obiettivi, mai ostinazione ottusa.
I banchieri centrali parlano un linguaggio comune; correttezza e fiducia reciproca sono il loro habitus mentale.
Che cosa se non questa attitudine, nutrita dell'esperienza e della consapevolezza maturate attraverso il lavoro di chi ci aveva preceduto - penso al Comitato Werner - consentì dapprima di realizzare il disegno dello Sme e, in seguito, ci spinse a misurarci con il più ambizioso progetto di moneta unica e di un Sistema europeo di banche centrali?
Certo, alle nostre spalle premeva la Storia, con la visione lungimirante di Jean Monnet fatta propria dagli Schuman, dai De Gasperi, dagli Adenauer; prima ancora con la proposta federalista di Aristide Briand o con il disegno pan-europeo del conte Kalergi.
Per molti di noi non era caduto nel vuoto quell'appello a "l'abolizione della sovranità dei singoli stati in materia monetaria", che Luigi Einaudi rivolgeva alle nazioni europee sul finire della seconda guerra mondiale, convinto com'era che i prodromi di quella tragedia - le dittature - risalissero alla "svalutazione della lira italiana e del marco tedesco".
Con il trattato di Maastricht del 1992 i governi europei manifestano la volontà irreversibile di affidare all'unicità del metro monetario il presidio della stabilità, condizione indispensabile per la stessa sopravvivenza di un'area economicamente integrata, quale era divenuta l'Europa alla fine degli anni ottanta.
Eppure, ricordate quanti dubbi accompagnarono la gestazione e la nascita delia moneta unica e di questa banca che la governa? Si disse che l'Europa era troppo varia per sopportare una sola moneta; che i paesi più deboli sarebbero stati schiacciati da quelli più forti o, al contrario, che quelli più forti avrebbero subito il contagio dell'instabilità dei più deboli;che la Banca centrale europea sarebbe stata vincolata nella sua azione dalle politiche nazionali o, al contrario, che il suo statuto l'avrebbe rinchiusa in una torre d'avorio poco compatibile con una costituzione democratica.
In dieci anni di vita la creatura che oggi festeggiamo, operando sulla base di un saggio ordinamento statutario, ha sviluppato muscoli e intelletto, in un processo di apprendimento fattivo che ha fugato quegli antichi dubbi. La storia di questi anni è qui a dimostrare che l'Eurosistema ha funzionato: le decisioni sono state tempestive;il coordinamento tra la struttura della Banca centrale europea e quelle delle banche centrali nazionali è stato fecondo; scambio di informazioni e riflessione comune sui diversi problemi sono divenuti un metodo di lavoro.
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