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Pininfarina, accordo con le banche per il debito

di Laura Galvagni e Marigia Mangano

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24 giugno 2008


E'imminente l'accordo tra Pininfarina e le banche per il riscadenziamento del debito. In discussione ci sono circa 600 milioni di euro, divisi tra sette istituti di credito (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Italease, Ubi, Mps, Fortis e Selmabipiemme) su cui il gruppo torinese era riuscito a ottenere una moratoria fino al 30 giugno 2008. A pochi giorni dal termine ultimo, dunque, l'intesa sarebbe prossima a una chiusura. Mancano solo gli ultimi dettagli, ma il via libera delle banche sarebbe già agli atti.
L'allungamento della scadenza del debito è un passaggio fondamentale per portare avanti il progetto di aumento di capitale da 100 milioni, che Pininfarina intende varare entro l'anno. La ricapitalizzazione aprirà le porte all'ingresso di nuovi soci: il finanziere bretone Vincent Bolloré, Alberto Bombassei, Piero Ferrari, la famiglia Marsiaj e il gruppo indiano Tata. Con quest'ultimo, tra l'altro, è stata appena firmata una lettera d'intenti per sviluppare un centro di design e engineering in India e l'alleanza industriale, secondo quanto si apprende, sta progredendo in tempi rapidi, tanto che i lavori di realizzazione dell'impianto sono già iniziati.
In questo contesto ci si interroga su quale sarà il ruolo della famiglia nel rilancio di Pininfarina: a quanto ammonterà l'entità dell'impegno? e come cambierà la fisionomia del gruppo ai piani alti? Punto di partenza per capire in che misura la famiglia torinese sarà coinvolta nel riassetto dell'omonimo gruppo è fotografare la struttura societaria a monte. Qui ci sono ben cinque società attraverso cui i due rami famigliari tengono le redini dell'azienda di design industriale. Le chiavi del controllo sono custodite dalla Pincar Sapa di Sergio Pininfarina&c che detiene il 54,96% della società operativa quotata a piazza Affari nell'86. Pincar, a sua volta, è nelle mani della dinastia torinese degli stilisti dell'auto, Pininfarina e Carli (che hanno ereditato il gruppo nel '61 da Battista Farina, detto Pinin), attraverso tre società semplici. Da una parte c'è la Seglap di Sergio Pininfarina, classe 1926, e dei tre figli Lorenza, Andrea (amministratore delegato di Pininfarina) e Paolo. E dall'altra ci sono la Framel (34,65%), che fa capo a Elisabetta Carli e ai suoi figli con quote paritetiche del 25% ciascuna, e la Pandre (14,34%), per intero nelle mani di Andrea Piglia. Gli azionisti appena citati sono rispettivamente la figlia e il nipote di Renzo Carli e Giannina Pininfarina, sorella di Sergio. Due delle tre società semplici, Seglap e Framel, sono governate da patti sociali che stabiliscono i passaggi generazionali e i trasferimenti di azioni. Curiosamente, a differenza della più classica tradizione italiana, non esistono limiti di sangue alla cessione dei titoli, o meglio le norme non risultano particolarmente stringenti. Nei patti sociali che governano la Seglap, per esempio, è stabilito che «le quote sociali sono liberamente trasferibili tra vivi fra i soci di capitale mentre per il trasferimento per il confronto di terzi e per le modifiche di contratto sociale sarà sufficiente il consenso preventivo o contestuale del socio amministratore e di tanti soci rappresentanti la maggioranza del capitale sociale», si legge nell'ultimo atto depositato. Quanto alla successione, invece, l'iter stabilisce che nel caso di morte di un socio la quota si consoliderà automaticamente in capo alla società con conseguente riduzione del capitale sociale e liquidazione in contanti degli eredi.
I Pininfarina hanno affidato alla Pincar il controllo del gruppo del design dell'auto dal '90. Oggi la quota di riferimento nel gruppo quotato (5,1 milioni di titoli) è contabilizzata in bilancio al 30 luglio 2007 per 45,5 milioni contro un valore di Borsa che si aggira attorno ai 38 milioni. Nonostante la minusvalenza implicita, la famiglia ha appena 467 mila euro di debiti nei confronti delle banche. Dunque, in presenza di una ricapitalizzazione a valle, Pincar sembra disporre dei mezzi per intervenire. Due le alternative, il ricorso al debito, oggi praticamente inesistente, o un impegno diretto personale dei soci. Senza contare che risulta al 30 luglio una riserva sovrapprezzo azioni nell'ordine dei 38 milioni, mentre quella straordinaria è stata in parte utilizzata per coprire le perdite del 2007, pari a 121 mila euro e quelle dell'anno precedente (91 mila). E' dal 2005, quando il risultato è stato positivo per 1,5 milioni che la Pincar chiude i conti in rosso.
Allo stato, se si ipotizza un'iniezione di liquidità ai prezzi di Borsa attuali di Pininfarina, circa 7,5 euro, perché Pincar non si diluisca al di sotto del 40%, la società deve mettere in agenda un esborso vicino ai 30 milioni. Se la soglia al di sotto del quale la famiglia non si vuole diluire scende al 30%, l'impegno si riduce quasi di un terzo a poco più di 10 milioni.

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