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La trappola del greggio virtuale

di Roberto Capezzuoli

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8 giugno 2008

Qualche buon motivo c'è per vedere il petrolio oltre i 139 dollari al barile, la quota record raggiunta venerdì con un balzo in una sola seduta di 10 dollari, il più forte di sempre. Una giornata frenetica per il greggio, che ha visto la sospensione automatica degli scambi di futures al New York Mercantile Exchange, eventualità che non si verificava dal '91, e mandato in fibrillazione i mercati azionari.
Ma il vistoso scollamento tra le Borse e il mercato fisico – in un giorno al Nymex viene scambiato in media un miliardo di barili contro una produzione mondiale di 85 milioni - testimonia che l'attuale modello di contrattazioni è da cambiare. È vero, come sostiene il guru T.Boone Pickens, che la produzione sale poco e che per 400mila barili consumati in meno negli Usa ce ne sono 500mila usati in più in Cina. Ed è vero che le tensioni in Medio Oriente e in altre aree produttive, unite al dollaro debole, la valuta di riferimento, esercitano una spinta sui prezzi.
Ma quando si afferma che gli Usa sono impotenti ad arginare la corsa, probabilmente ci si sbaglia. Le grandi Borse merci, punti di riferimento per tutti gli scambi, hanno le loro colpe e abusano della permissiva condotta di chi ne detta le norme. Il «Commodity futures modernization act» nel 2000 ha spalancato la porta ai capitali diretti verso le materie prime, limitando i poteri della «Commodity futures trading commission» (Cftc), che dal '74 ha il compito di vigilare sugli scambi.
Nel Regno Unito la «Financial services authority» ha allentato le redini ancora di più, facendo dell'Ice un mercato dove la regola sembra l'eccezione, come ha lasciato intendere il senatore americano Carl Levin parlando delle inchieste che Senato e Cftc conducono da dicembre per valutare se esistano manipolazioni artificiose dei prezzi. Forse l'indagine darà presto qualche risultato. Quel che emerge fin d'ora – e che da mesi angustia gli operatori attivi sul petrolio "fisico" – è che i mercati a termine dei combustibili oggi non sono più quelli che si studiavano nei libri di testo.
I capisaldi allora erano la standardizzazione, la cassa di compensazione, o clearing house, e soprattutto la liquidità. In sostanza, perché un mercato funzioni occorre una forte presenza della speculazione, che può assumere posizioni opposte a quelle di chi usa i futures per proteggersi da imprevisti movimenti dei prezzi. E occorrono il denaro e la merce. Il primo, ovviamente, per la compravendita e il versamento dei margini di garanzia, generalmente meno onerosi nel caso di chi fa hedging, ossia protegge un'attività, e più costosi per chi opera da speculatore. La seconda, perché sia possibile consegnarla a chi decida di esercitare il diritto normalmente riservato al possessore di un future di acquisto.
Oggi invece il petrolio non si consegna. All'Ice di Londra, chi ha un contratto di vendita sul Brent potrebbe anche decidere di portarlo a scadenza e consegnare la merce. Di petroliere cariche, in cerca di una destinazione, ce ne sono decine, a dimostrazione dello scollamento tra mercato a termine e mercato reale. Però è virtualmente inesistente il deposito verso cui dirigersi. E l'Ice comunque prevede l'opzione della compensazione monetaria. Il future dell'Ice sul Wti, il greggio di riferimento per l'America, non contempla tout court la consegna fisica. E gli scambi over-the-counter, al terzo mercato, sono fuori controllo.
Regole blande anche al Nymex. Chi volesse consegnare Wti potrebbe farlo, ma solo a Cushing, Oklahoma, dove la capienza è di una ventina di milioni di barili, 50 volte meno degli scambi giornalieri che si verificano nella Borsa. Non solo. I margini speculativi (più alti) non vengono mai versati. Chi non abbia un'attività che giustifichi un determinato volume di operazioni di copertura potrà comunque operare tramite un primary dealer, uno dei grandi soci della Borsa stessa, evitando il maggior onere finanziario.
Scommettere è facile, quindi, e buona parte del vantaggio va a notissime banche d'affari. Per il deputato democratico Bart Stupak, che punta il dito contro Goldman Sachs e Morgan Stanley, sono loro a manipolare artificiosamente le quotazioni. Quando Arjun Murti, analista di Goldman Sachs, lancia previsioni di greggio a 200 dollari entro due anni, la profezia è sorretta da una forza finanziaria che sconsiglia (i prezzi di venerdì lo dimostrano) di assumere posizioni opposte. Nella sua apparente semplicità, il commento del finanziere George Soros fotografa nitidamente la situazione: «Ci sono tutti i segnali di una bolla – ha sostenuto in una recente audizione al Senato Usa – ma non scoppierà tanto presto. Quanto ai margini speculativi, alzarli potrebbe scoraggiare qualcuno, ma sarebbe inutile».

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