Al rischio calcolato è sicuramente abituato: cattolico in un Paese musulmano come l'Egitto, difensore della causa palestinese ma nemico dichiarato dei fondamentalisti islamici, Naguib Sawiris è per vocazione un imprenditore controcorrente. E comprando Wind, di rischi Sawiris se n'è presi, fin dal principio.
Ancora racconta quando tre anni fa, al momento di comprare la compagnia telefonica dall'Enel, la cordata di investitori esteri di cui era capofila si dileguò nel nulla a poche ore dalla firma del contratto da 12 miliardi di euro e decise di andare avanti da solo. «Non ho mai avuto paura di non farcela - spiega in questa intervista esclusiva a Il Sole 24 Ore poche ore dopo aver staccato un assegno da 963 milioni a favore dell'Enel per il saldo di Wind - e grazie al supporto, anche finanziario, di mio padre ho mandato in porto il più grande buy-out su una compagnia telefonica mai visto in Europa. Malgrado le avversità, ho dimostrato di essere un uomo di parola».
Per il 54enne Sawiris, l'outsider sbarcato dal Cairo nel complicato mondo delle tlc italiane, quella di ieri è stata dunque una giornata importante. Rilassato e sorridente nel salotto privato dei suoi uffici romani in via Due Macelli, a pochi passi da piazza di Spagna, il magnate racconta di aver appena chiuso una partita cruciale, rimborsando quanto dovuto all'Enel per l'acquisto del 26% di Weather, la holding che controlla Wind e Orascom. E grazie all'ingresso dei fondi Apax, Ta Associates e Madison, che sottoscriveranno un bond da un miliardo convertibile nel 13% di
Weather, l'uomo d'affari egiziano è arrivato a un punto di svolta e ora può riconcentrarsi sul business. Nonostante i problemi congiunturali, normativi e personali, (non ultima l'indagine della Procura di Roma sulla vendita di Wind), Sawiris assicura che non lascerà l'Italia: «Non sono un finanziere mordi-e-fuggi - dice - e i debiti non mi spaventano. Anzi, li sto ripagando in anticipo».
Dunque Sawiris, è più soddisfatto per sè o per aver smentito gli scettici sulla sua capacità di sostenere l'acquisto di Wind?
Qui in Italia c'erano stati molti dubbi sulla mia solvibilità. Ma io onoro sempre gli impegni, e un buon capitano si vede quando il mare è in tempesta: anche in un periodo difficile come questo, con il mercato del credito chiuso a riccio, ho confermato di poter raggiungere obiettivi complessi. Certo, avrei preferito tenere tutto il controllo di Weather, ma i fondi saranno dei buoni partner.
Resta però il fatto che tre anni fa ha comprato dall'Enel il 26% di Weather per salire al 100%: ora fa entrare dei fondi per ripagare proprio Enel...
Come le dicevo, sono un imprenditore che vuole salire nelle sue aziende, non scendere. Avrei voluto mantenere il 100% di Weather, ma ripeto, l'ingresso del private equity offre garanzie e sicurezza alla compagnia.
Creare la compagnia del Mediterraneo è stato il suo slogan, ma oltre l'Italia, la Grecia e il Medio-Oriente non è andato. E il suo piano si è tradotto in 11 miliardi di debiti: è ora di ridimensionare gli obiettivi?
Il debito lo stiamo ripagando: ieri abbiamo saldato il debito con l'Enel e abbiamo rimborsato in anticipo alle banche altri 646 milioni di debito straordinario in capo alla subholding Weather Capital, grazie all'introito incassato col buy-back di Orascom. In totale il debito del gruppo è stato ridotto di 1,8 miliardi. Detto questo, il consolidamento nelle tlc è ineluttabile e quando finirà la crisi del credito ripartiranno anche le acquisizioni. Ma attenzione: anche le fusioni alla pari sono un'opzione che non mi sento di escludere.
Allora farà come suo fratello, che ha venduto Orascom Cements ai francesi in cambio di una quota in Lafarge?
Assolutamente no. Non voglio essere una minoranza di un grande gruppo. Mio fratello ha altri business oltre al cemento, ed è uno pragmatico. Io ho solo il business delle Tlc e sono un creativo: se vendo mi rimane poco da fare, se non fumare sigari in spiaggia.
Come vede il quadro regolatorio in Italia?
L'Italia soffre di un'asimmetria rispetto ad altri Paesi. Qui ci sono due colossi con quote molto elevate, Telecom Italia e Vodafone , e tanti piccoli operatori: all'estero c'è un solo operatore dominante e tanti alternativi di medie dimensioni. Il «Decreto Bersani» (quello che ha elimito i costi di ricarica) ha avvantaggiato i big e penalizzato i piccoli come noi. E le asimmetrie tendono ad aumentare: il recente provvedimento dell'Authority sulle tariffe di terminazione favorisce società come 3 Italia a nostro danno. In queste condizioni, la competizione è difficile e si chiudono gli spazi per una pluralità di soggetti. In altre parole, in Italia non c'è spazio per quattro operatori mobili: uno dovrà lasciare il campo, ma le garantisco che non saremo noi.
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