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Un anno di crisi e siamo ancora al punto di partenza

di Ignazio Angeloni

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13 Luglio 2008

Mentre sulle piazze finanziarie sale la tensione, si avvicina l'anniversario di quel fatidico 9 agosto 2007 in cui, fra la sorpresa e lo sgomento di operatori e policy makers, la decisione – anticipata dal Sole 24 Ore – di Bnp Paribas di sospendere i prelievi da tre propri fondi di investimento dava inizio alla "crisi dei mutui". L'impressione degli osservatori è che si prepari un'altra calda estate finanziaria; e le prime reazioni dei mercati alle ultime novità sono già una conferma. È certo comunque che l'interazione fra aumento dei prezzi energetici e caduta delle Borse aggiunge a questa fase una spirale di fragilità. È quindi giusto, come è stato autorevolmente suggerito, riflettere sui legami fra le due facce della crisi (mercati finanziari e materie prime), soprattutto per capire quali politiche possano aiutarci a uscire da entrambe.

All'inizio erano i subprime...
Inizialmente limitata a un piccolo settore del mercato finanziario americano (mutui ad alto rischio), la crisi si è estesa rapidamente ad altre parti del sistema finanziario: titoli privati, banche d'investimento, assicurazioni. Fin dalle prime fasi le turbolenze hanno investito l'Europa, dove molte banche avevano improvvidamente sottoscritto prodotti finanziari strutturati collegati ai mutui americani. Questa settimana i due giganti Usa Fannie Mae e Freddie Mac, che coprono da soli circa la metà del credito ipotecario statunitense, tradizionalmente ritenuti solidissimi in quanto istituiti (anche se non formalmente garantiti) dal governo federale, hanno perso oltre la metà del loro valore di Borsa. Una causa di quanto accade risiede certamente nei limiti della regolamentazione e nella vigilanza, che avevano consentito a banche e altre istituzioni di cedere sul mercato mutui rischiosi impacchettati con altri strumenti finanziari in modo da occultare, con la connivenza delle agenzie di rating, la reale rischiosità dell'investimento. Negli ultimi anni della presidenza Greenspan la Fed aveva chiuso un occhio su questi sviluppi, e anche alcune vigilanze europee non ne avevano compreso la portata. È un dato positivo che, in questa fase, le autorità abbiano reagito prontamente e in modo cooperativo: il Financial Stability Forum, che riunisce le principali autorità finanziarie a livello globale, ha approntato primi interventi per rafforzare la stabilità dei mercati.

I buchi della regolamentazione non spiegano tutto
Ma le carenze della regolamentazione non bastano a spiegare ciò a cui assistiamo; dopo tutto, la finanza americana e quella internazionale avevano convissuto per decenni, prosperando, con quelle debolezze. È qui che è utile riflettere sul primo nesso fra le due crisi. La lunga espansione monetaria, allargatasi dagli Stati Uniti al resto del mondo, ha stimolato per anni (almeno dal 2003) la domanda globale. Nei paesi avanzati, tassi di interesse troppo bassi per troppo tempo hanno incentivato la spesa e l'assunzione di forme nuove di rischio, nel settore immobiliare e altrove. L'eccesso di liquidità ha favorito l'espansione economica e lo sviluppo delle tensioni inflazionistiche, soprattutto nei paesi emergenti, che sono all'origine di gran parte dell'aumento di costi delle materie prime. Questa non è la prima crisi energetica del dopoguerra, ma è la prima che trae origine da un aumento della domanda, non da una contrazione dell'offerta. Ebbene, se non è irrealistico pensare che la domanda di energia, presente e prospettica, proveniente soprattuto dal mondo emergente sia almeno raddoppiata, non sorprende l'entità del rincaro, anche senza scomodare ipotesi speculative: quando offerta e domanda reagiscono poco ai prezzi, basta poco per dare origine a formidabili aumenti. Con poche qualificazioni il discorso vale anche per i generi alimentari, che dopo anni di flessione (anche dopo i recenti aumenti, i prezzi reali del grano e delle altre principali colture rimangono a tutt'oggi al di sotto di un un terzo dei livelli dei primi anni settanta) hanno avuto nell'ultimo biennio un'impennata dovuta principalmente a forti incrementi di domanda e a vincoli temporanei nell'offerta.

I prezzi delle materie prime sintomo del riequilibrio
Una prima considerazione che ne segue è che gli aumenti delle materie prime energetiche e agricole a cui assistiamo sono sintomo e tramite del necessario aggiustamento dei mercati a squilibri creati precedentemente, soprattutto dalle politiche economiche. Come già negli anni settanta e ottanta, prezzi più alti aiuteranno il risparmio energetico e lo sviluppo di nuove fonti di energia, sviluppi necessari anche dal punto di vista ambientale. Se tentare di opporsi a queste tendenze sarebbe inutile e controproducente, come ha spiegato giorni fa Innocenzo Cipolletta su l Sole 24 Ore, il mercato deve però essere fatto funzionare meglio, con più trasparenza e concorrenzialità. È qui che il coordinamento internazionale (G7 ed Europa) può aiutare.
Altrettanto necessaria è l'inversione nel ciclo delle politiche monetarie a cui si accingono le banche centrali. Il ritorno graduale a condizioni meno espansive, lungi dal creare pericoli di conflagrazione congiunta, sarà col passare del tempo fattore di riequilibrio.

Il confronto a distanza tra Fed e Bce

La Banca centrale europea, che in questi anni si era sempre astenuta dagli eccessi espansionistici e interventisti della Fed, ha invertito il corso per prima giovedì scorso. Una decisione notevole, non solo in sé ma anche perchè segna, dopo dieci anni di vita della nuova istituzione, una fase nuova in cui l'Europa assume la guida monetaria anticipando l'America anziché seguirla. Chi riteneva che un Consiglio Direttivo così numeroso ed eterogeneo non potesse prendere decisioni coraggiose dovrà ricredersi.
  CONTINUA ...»

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