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I complici di Tavaroli

di Raffaella Calandra

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Martedí 22 Luglio 2008

Otto nomi. Chiuso il filone centrale d'inchiesta, il quadro si definisce. E nella casella principale, «con il ruolo di organizzatori e promotori» dell'associazione, accusata di «una poliedrica e multiforme attività illecita», cioè di aver spiato migliaia di persone, i pm collocano otto nomi: «Tavaroli, Cipriani, Mancini, Spinelli, Bernardini, Sasinini, Ghioni e Guatteri», scrivono nell'avviso di chisura di indagine (36 gli indagati), in un ordine che sembra rispecchiare il differente peso in questa storia di dossier illeciti e spie internazionali da una parte, e di «mancanza di controlli» dall'altra: contestazione quest'ultima all'origine dell'iscrizione nel registro degli indagati di Telecom e Pirelli, per la legge 231.

«Non avendo predisposto modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati, rendeva possibile - scrivono i pm circa le due società - che Giuliano Tavaroli e Pierguido Iezzi (rispettivamente, ex direttore sicurezza Telecom e Pirelli) commettessero, nell'interesse della società, i reati». «Solo nel maggio 2003» in Telecom e a luglio in Pirelli sono stati «adottati tali modelli», aggiungono. «Sono molto contento della conclusione a cui sono arrivati i giudici", commenta, al Tg5, l'ex presidente Telecom Marco Tronchetti Provera, secondo cui è «emersa con chiarezza la verità. Questo è un dato estremamente importante».

La «verità» raccontata dai pm Fabio Napoleone, Stefano Civardi e Nicola Piacente nelle 371 pagine dell'avviso di chiusura di indagine si può accennare in alcuni numeri: 20,9 milioni di euro spesi tra il 1997 e il 2004 da Pirelli e Telecom, solo per «le operazioni di investigazione commissionate» dalla security di Giuliano Tavaroli, al principale fornitore, l'investigatore Emanuele Cipriani, «dissimulando - si legge - pratiche corruttive, attraverso le quali comprava notizie riservate»; 136 sono «gli accertamenti sviluppati sul traffico storico di utenze telefoniche», intestate tanto a privati, da Christian Vieri, a Luciano Moggi, a Alberto Romagnolo (ex funzionario della Banca del Gottardo), quanto a società - Arnoldo Mondadori, Rcs, Olivetti, Banca di Roma - a utenze istituzionali (Comando Generale dei Carabinieri, Ministero di Difesa e Esteri), o delle stesse Tim e Telecom, o anche «non rilevabili».

Ma la storia di quest'inchiesta, secondo la versione dei pm, è soprattutto nelle migliaia di nomi, su cui sono state acquisite informazioni da banche dati riservate o da intelligence, italiana e straniera (Marco Mancini era il capo dell'antispionaggio del Sismi; Giampaolo Spinelli, ex Cia; Marco Bernardini, ex Sisde; Fulvio Guatteri, ex agente dell'intelligence francese): 246 persone hanno presentato esposti alla Procura, da Vittorio Nola a Carlo De Benedetti, da Luigi Bisignani a Aldo Brancher, Massimo Mucchetti, Lucia Annunziata, Vodafone. Fino al 53bis, infine, arriva la numerazione dei faldoni col materiale inviato al gip, perché decida sulla distruzione: l'archivio Z con i dossier di Cipriani; la memoria succhiata alla Kroll, la più grande agenzia al mondo di investigazioni (Directory Rjenkins e Oerginsoy); i dati trovati nei computer Telecom sequestrati il 3 maggio 2005; note del Sisde su movimenti eversivi, il materiale di Angelo Jannone, già responsabile sicurezza in Brasile, all'interno del quale anche il file Tokyo.

Una quantità enorme di dati raccolti illegalmente, secondo l'accusa, anche attraverso le intrusioni informatiche del Tiger Team, guidato da Fabio Ghioni, in 8 pc della Rcs o i contatti del consulente Guglielmo Sasinini, o attraverso la "rete" di "addetti agli apparati di sicurezza", attribuita all'ex 007 del Sismi Mancini. Reati commessi sia «nell'interesse della società», scrivono i pm, sia per acquisire informazioni «trasmesse a personale dei Servizi di Sicurezza per finalità non istituzionali». Lo specificano, i magistrati, parlando di «Circe e soprattutto Radar», gli applicativi con l'accesso alla banca dati Tim «senza lasciare traccia».

Così, Tavaroli «tramite il responsabile della security Tim», Adamo Bove il manager morto due anni fa a Napoli, «acquisiva informazioni sul traffico storico di utenze e le «utilizzava - proseguono i pm - per integrare i dossier, studiando contatti e frequentazioni». Per questo, nel fascicolo sono confluiti anche atti della Procura di Napoli, che indaga sulla morte di Bove, come alcuni relativi all'archivio in via Nazionale di Pio Pompa, ex funzionario del Sismi di Nicolò Pollari, indagato per il rapimento Abu Omar.

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