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Chi salverà Fannie e Freddie?

di Mario Platero

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12 luglio 2008

Le due istituzioni servono indirettamente circa 55 milioni di americani, garantiscono mutui sul mercato secondario per 5.000 miliardi di dollari e sono la vera cinghia di trasmissione dell'intero mercato secondario. Per questo banche che hanno investito su strumenti garantiti dalle due istituzioni, ad esempio Lehman Brothers, molto esposta, subiscono a loro volta perdite colossali; per questo economisti e analisti chiedono un sostegno del governo e per questo lo stesso Henry Paulson, segretario al Tesoro americano, pur escludendo ieri "bail out", ha già immaginato la creazione di nuovi covered bonds per dare liquidità al mercato. Sembra impossibile però, che in questa situazione di caduta libera ci siano oggi investitori pronti ad entrare senza, quanto meno, la creazione di strumenti di garanzia dello stato.
Comunque sia, l'atmosfera di oggi ci riporta a 70 anni fa, al 1938, quando il Presidente Franklin Delano Roosevelt, nel mezzo della grande depressione e nel mezzo della violentissima crisi immobiliare e finanziaria di allora, invocò di nuovo l'intervento dello stato e lanciò la Federal National Mortgage Association. L'acronimo FNMA fu presto trasformato nel nome e cognome rappresentativo di una figura materna e rassicurante, Fannie Mae. Nel giro di pochi anni i muscoli dello stato fecero leva contro la psicologia negativa degli investitori. La situazione si normalizzò e fino al 1968, Fannie Mae (ormai è da decenni il suo nome ufficiale) restò statale: rilevava da banche e istituzioni portafogli di mutui, li garantiva e li ricollocava presso altri investitori. Divenne così la cinghia di trasmissione principale per la creazione di un mercato secondario, consentiva alle banche di scaricare vecchi mutui e di emetterne di nuovi; non aveva mai rapporti diretti con il consumatore, ma lo agevolava lo stesso, mantenendo, con il suo intervento, i tassi di interesse su livelli accessibili. Il suo reddito era determinato da un premio di garanzia sull'ammontare ricollocato. Nel 1970, con un mercato forte, il Congresso decretò la nascita di un'altra istituzione simile, la Federal Home Loan Mortgage Corporation. L'acronimo FHLMC divenne subito Freddie Mac, il compagno paterno a benevolo della signora Fannie Mae, di nuovo istituzione privata, di nuovo attiva sul mercato secondario.
Le cose andarono bene per molto tempo, le istituzioni si reggevano bene da sole, lo stato guardava da lontano e autorizzava di fatto un monopolio del mercato. I massimi, negli ultimi otto anni, in borsa li abbiamo visti per Fannie Mae nel 2000 a quota 87,8 dollari per azione e per Freddie Mac nel 2004 a quota 73,7 dollari per azione. Poi ci furono alcune difficoltà contabili, qualche tempesta politica, dimissioni di un paio di amministratori delegati. Ma la vera crisi è dei nostri giorni: Fannie Mae ha perso il 13% mercoledì, il 13,7% giovedì e ieri il 22,4%. Ha chiuso a quota 10,25 con una perdita dell'87,9% sui massimi. Freddie Mac ha perso il 23,7% mercoledì, il 22,03% giovedì e ieri, dopo essere sprofondata nell'intraday, ha recuperato chiudendo in ribasso del 3,1%. Ha archiviato la seduta a quota 7,65, con una perdita dell'89,5% sui massimi. E se si andrà avanti così? L'intervento dello Stato, al di là del "moral hazard" diventerà, in una forma o nell'altra, inevitabile. Anche perché la crisi avanza: in California, sempre all'avanguardia, molti comuni hanno creato dei parcheggi speciali dove chi ha perso la casa potrà recarsi la notte per dormire in macchina. A motori spenti, perché il carburante ha già costi inaccessibili.

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