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Unica via è ridurre le tasse sul lavoro

di Guido Tabellini

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7 luglio 2008

Che cosa può fare la politica economica di fronte allo shock ai prezzi delle materie prime e dei prodotti agricoli che ha colpito l'economia mondiale? La risposta del Governo sembra essere: sul fronte interno c'è poco da fare, perché i vincoli di bilancio non consentono margini di manovra; sul fronte esterno, mobilitiamo i Governi europei contro la "speculazione". È una risposta inadeguata su entrambi i fronti.

Le cause dello shock esterno sono note: la crescita delle economie emergenti ha creato un eccesso di domanda di materie prime. Ciò non è imputabile solo a un naturale processo di convergenza dei Paesi che escono dal sottosviluppo. Vi sono anche distorsioni sistematiche nella politica economica di questi Paesi. Da un lato, in Asia e Medio Oriente la politica monetaria è troppo espansiva. Per tenere fissa la parità col dollaro, molte economie emergenti stanno creando troppa liquidità e troppa inflazione domestica. Dall'altro, la domanda di materie prime è artificialmente sostenuta da sussidi energetici elargiti dai Governi. Queste distorsioni non sono un dato di fatto immutabile. Europa e Usa possono adoperarsi perché vengano rimosse. È questo il fronte esterno su cui dovrebbe concentrarsi l'azione del Governo invece di preoccuparsi della "speculazione".
Sul fronte interno, l'aumento del prezzo relativo delle materie prime e dei prodotti agricoli è contemporaneamenteuno shock all'offerta e alla domanda. All'offerta, perché fa salire i costi di produzione; alla domanda, perché sottrae potere d'acquisto alle famiglie. In questa situazione la politica monetaria può fare ben poco. L'aumento una tantum dei tassi di interesse di un quarto di punto, appena deciso dalla Banca centrale europea, è una dichiarazione di impotenza. A conferma di ciò, l'inflazione è praticamente la stessa in Europa e negli Stati Uniti, nonostante le politiche monetarie divergenti.
Gli effetti dello shock invece dovrebbero essere contrastati con la politica fiscale. Lo strumento corretto è una riduzione delle imposte sui redditi da lavoro: dal lato dell'offerta, scenderebbero i costi di produzione; dal lato della domanda, si darebbe sollievo al reddito disponibile delle famiglie, soprattutto di quelle a basso reddito che in proporzione sono state più colpite dallo shock alle ragioni di scambio.

Bisognerebbe invece guardarsi dal concedere agevolazioni o sussidi ai settori colpiti dal rincaro dei prezzi dell'energia, per non distorcere l'allocazione delle risorse. Una possibile obiezione è che il minor prelievo fiscale sul lavoro, sostenendo la domanda interna, rischierebbe di alimentare l'inflazione. Ma i dati sui consumi diffusi l'altro ieri confermano che è un timore infondato: tra gennaio e maggio gli acquisti sono scesi dell'1,9%. L'economia italiana è stagnante, se non sull'orlo della recessione, e il rischio di una domanda interna troppo forte proprio non esiste. Anzi, minori imposte sui redditi da lavoro potrebbero indurre a più moderazione nei rinnovi contrattuali e consentirebbero di difendere il potere d'acquisto delle famiglie senza scatenare una vana rincorsa tra prezzi e salari. Né vi sarebbe il rischio di sbagliare i tempi. Lo shock ai prezzi energetici e agricoli non è un fenomeno temporaneo, e siamo solo agli inizi di una fase di rallentamento nell'economia mondiale che durerà qualche anno, non qualche mese.

L'unica ragione per non ridurre le imposte è che mancano le risorse. Il ministro Tremonti lo ha enfatizzato nella sua audizione in Parlamento: «Se il Pil dovesse riprendere a correre» si potranno restituire i soldi ai contribuenti. E altrimenti? Se questa fosse l'impostazione, avremmo una politica fiscale prociclica che amplifica gli shock esterni: quando le cose vanno male si tira la cinghia, quando vanno bene anche la politica fiscale diventa più espansiva. Esattamente il contrario di ciò che bisognerebbe fare.

Purtroppo oggi paghiamo le conseguenze delle scelte sbagliate dei Governi precedenti, che hanno sprecato l'occasione per un risanamento più incisivo dei conti pubblici quando le entrate e l'economia crescevano più del previsto. Ma gli errori passati non sono una scusa per continuare a sbagliare. Il ministro Tremonti fa bene a preoccuparsi del vincolo di bilancio. Ma questo può essere rispettato accompagnando la riduzione delle imposte con un'azione più incisiva per contenere la spesa. Secondo gli obiettivi del Dpef appena presentato dal Governo, nel 2010 sia la pressione fiscale che la spesa corrente al netto degli interessi in percentuale del Pil continueranno a essere praticamente sugli stessi livelli del 2007. È un programma troppo rinunciatario, date le difficoltà del Paese. Se i provvedimenti sul lato della spesa sono identificati con precisione e approvati dal Parlamento, essi possono anche essere differiti nel tempo e consentire una temporanea espansione del disavanzo in seguito ai tagli d'imposta, senza per questo compromettere la credibilità del percorso di rientro dal debito.

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