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Il salvataggio di Alitalia e i doveri del Governo

di Franco Locatelli

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6 agosto 2008

La roadmap per il salvataggio di Alitalia è pronta, ma adesso tocca al Governo scoprire le carte, armarsi di coraggio e dimostrare di avere una strategia. Banca Intesa ha fatto la sua parte e ha messo in campo un piano industriale di cui si potranno sempre discutere i singoli punti ma che ha una sua logica e che mira a mettere la compagnia di bandiera nelle condizioni di riprendere il suo cammino e di farlo con le sue sole forze.
Al punto in cui la triste vicenda di Alitalia era giunta non c'erano molte alternative. Però il successo del piano dipende da tante variabili e prima di tutto dall'uso che il potere politico vorrà farne. Spostare a settembre le decisioni che riguardano il futuro di Alitalia è prova di saggezza e della volontà di evitare scioperi e agitazioni del trasporto aereo proprio nei giorni in cui gli italiani vanno in vacanza e portano soldi freschi nelle casse della società, ma in autunno i nodi verranno al pettine e le scelte, anche se amare, non potranno più essere eluse.
Il paradigma su cui si fonda il piano di Intesa, che da advisor non rifiuta l'ipotesi di farsi azionista della nuova compagnia, ha quattro gambe: la discontinuità aziendale, la qualità degli investitori, il rispetto dei contribuenti e l'irrinunciabilità del partner estero.
Senza una netta rottura con il passato e senza il commissariamento della compagnia, ma con procedure più veloci della legge Marzano, non sarebbe facile chiamare una nuova cordata di investitori a scommettere su ciò che merita di essere salvato e su ciò che può essere valorizzato di Alitalia, senza doversi far carico dei debiti e delle insostenibili inefficienze delle fallimentari gestioni del passato. Può piacere o no ma, con buona pace dei creditori e dei sindacati, questo è il primo spartiacque e la prima condizione per tentare il rilancio di una compagnia da troppo tempo in stato comatoso.
La seconda condizione è che il salvataggio avvenga in una logica di mercato. Se si pensa che, dopo il fallimento dello Stato, il futuro di Alitalia debba essere la privatizzazione non si può cacciare l'azionista pubblico dalla porta e farlo rientrare dalla finestra.

Lo Stato deve stare fuori dalla futura compagine azionaria della compagnia di bandiera e non può e non deve, nemmeno indirettamente,alimentare quei conflitti d'interesse che sono il cancro del capitalismo contemporaneo e sicuramente di quello italiano. Per essere chiari: anche i titolari di concessioni dello Stato o i costruttori che lavorano per la Pubblica amministrazione è meglio che stiano alla larga.
Terzo punto, ma non in ordine d'importanza: i contribuenti hanno già dato e sarebbe a dir poco immorale costringerli, ancora una volta, a ripianare le perdite di Alitalia. Non si può liquidare la compagnia in bonis salvando tutto e tutti: spiace che azionisti, creditori e obbligazionisti vadano incontro, insieme ai dipendenti, a qualche sacrificio ma i loro diritti vengono certamente dopo quelli generali e quelli di tutti i contribuenti. La politica porta, insieme ai sindacati, la responsabilità principale e incancellabile del fallimento di fatto dell'Alitalia e sarebbe inconcepibile che aggiungesse errore a errore solo per aggirare scelte impopolari ma inevitabili.

Il quarto punto è la risposta alle profonde trasformazioni dell'industria del trasporto aereo, determinate non soltanto dal boom dei prezzi del petrolio ma anche dall'arrivo di nuovi soggetti, come le compagnie low cost, che hanno rivoluzionato il mercato e i termini della competizione. Senza le economie di scala non c'è speranza di ridurre i costi e di incrementare i ricavi in maniera da avvicinare stabilmente il bilancio di una compagnia nazionale all'equilibrio o addirittura all'utile. Ma per fare questo non bastano i campioni nazionali che operano su un mercato troppo piccolo: servono invece le grandi alleanze internazionali e serve la partecipazione attiva al processo di consolidamento delle aviolinee che sta interessando tutto il mondo e che proprio in Europa, con il progetto di nozze tra British Airways e Iberia, sta conoscendo nuove dimensioni. Persa l'occasione francese, forse per Alitalia la pista più probabile diventa oggi quella tedesca della Lufthansa, che è una compagnia di prima grandezza, ma quel che conta è avere piena coscienza non solo dell'importanza di un partner estero ma anche dell'urgenza di arrivare a un'integrazione internazionale in cui, come per Telecom, i soci italiani abbiano la possibilità di dire la loro.

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