La crisi del secolo, il terremoto finanziario, lo tsunami dell'economia, la peggiore convulsione dal '29... Quanto è grave la situazione? Forse gli astanti di questo settembre 2008 sono troppo invischiati e assordati per vederci chiaro. Può essere utile, allora, chiedere lumi a chi possa vedere le cose con occhio più distaccato. Il Sole 24 Ore ha provato ad ascoltare due "magni" economisti: il primo, John Maynard Keynes (JMK), è stato definito l'economista più importante del XX secolo, e il secondo, Joseph Schumpeter (JS), è stato definito (da J. Bradford DeLong) il più importante economista del XXI secolo: un titolo lusinghiero per chi è nato nel XIX... Ma prima è d'uopo chiedere a Schumpeter che effetto gli fa essere definito l'economista più importante del XXI secolo.
JS - Beh, un giorno dissi che la mia ambizione era quella di diventare il più grande cavaliere, il più grande amante e il più grande economista d'Europa. Più tardi aggiunsi, senza specificare, che avevo realizzato due delle mie tre ambizioni...
JMK- Non vogliamo sapere quale delle tre è rimasta fuori. Ma parliamo piuttosto di questa crisi. Quel che sta succedendo fra le banche mi ricorda un mio sfogo del 1945 - un anno prima del mio trapasso, quasi un testamento... - a proposito della necessità di rinnovare l'imbelle classe imprenditoriale inglese: «Se per qualche sprovveduto equivoco geografico le forze aeree americane - è ormai troppo tardi per sperare qualcosa dai tedeschi - potessero distruggere ogni fabbrica nella costa del Nord Est e nel Lancashire (in un'ora in cui dentro ci sono solo i manager e nessun altro) non avremmo niente da temere. Non vedo come potremmo altrimenti riguadagnare quell'esuberante inesperienza che è necessaria, sembra, per aver successo...». Non possiamo confidare nel "fuoco amico" questa volta: ma è uguale la necessità di far fuori una classe di banchieri e finanzieri che han giocato con i fiammiferi nella Santabarbara della finanza.
JS - Se fai fuori questi ne verranno altri, e prima o poi ci saranno altre crisi. Ma le crisi sono fatte per crescere. Così come i cicli dell'economia «non sono come le tonsille, cose separate che possono essere curate da sole, sono come il battito del cuore, e appartengono all'essenza dell'organismo», anche le crisi finanziarie sono il modo con cui l'organismo si sbarazza delle tossine accumulate nell'euforia. Non bisogna averne paura, bisogna guardare al dopo, al mare calmo dopo la tempesta.
JMK - È facile dire, con Mark Twain, che prima o poi ha sempre smesso di piovere. Ma «gli economisti si danno un compito troppo facile e troppo inutile se nella stagione delle tempeste son solo capaci di dire che quando l'uragano finisce l'oceano tornerà piatto».
JS - Caro Maynard, capisco che quando io parlo di "distruzione creativa", la mia sembra essere solo una consolazione, un cataplasma sulle ferite della crisi. Ma tutto quel che è successo da cent'anni a questa parte conferma la mia tesi. Fin che ci saranno invenzioni, innovazioni, voglia di fare, sane avidità, braccia operose e cervelli attivi, la capacità inesauribile di creare e produrre si sposerà con i bisogni inesauribili dell'uomo, e l'economia andrà avanti, senza farsi spaventare da queste miserabili crisi.
JMK - Caro Joseph, sono tanto d'accordo che sono stato io il primo a coniare le parole possenti degli animal spirits.
JS - Io li avevo già chiamati Unternehmergeist, "anime fiere".
JMK - E non mi faccio spaventare da tanta effervescenza speculativa che ha gonfiato la bolla del credito prima che scoppiasse la crisi dei mutui. Ma, se è vero che «gli speculatori non fanno danno se sono bollicine sulla corrente dell'intrapresa» è anche vero che «le cose si fanno serie quando l'impresa diventa la bolla in un gorgo di speculazione. Quando lo sviluppo finanziario di un Paese diventa il sottoprodotto delle attività di un casinò, viene fuori un lavoro fatto male. Se misuriamo il successo di Wall Street come un'istituzione la cui funzione sociale è quella di incanalare l'investimento negli impieghi più produttivi, dobbiamo concludere che Wall Street non è stato un grande trionfo del capitalismo alla laissez faire».
JS - Ma l'impresa è stata veramente danneggiata da questa crisi nei piani alti della finanza? Quando ci hanno istruiti su quel che è successo negli anni di grazia 2007 e 2008, la parola più ricorrente era quella del credit crunch, la stretta creditizia. Ma se prima c'era stato un eccesso di credito a (troppo) buon mercato, la stretta non è una disgrazia ma una medicina.
JMK - Sono d'accordo, e da questo punto di vista, a guardare quelle cose scomode che sono i fatti e i numeri, la stretta c'è stata solo per i prestiti e gli impieghi che giravano vorticosamente all'interno del settore finanziario. Se una società finanziaria si fa dare soldi a breve dalle banche per lucrare sulle differenze fra tassi corti e lunghi, questa non è un'attività produttiva. Il credito alle attività produttive non è stato fatto mancare e non ci sono ragioni perché manchi in futuro.
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