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Aquila rossa e quel mondo che non c'è

di Guido Gentili

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Venerdí 19 Settembre 2008
Piloti Alitalia ieri a Fiumicino (Infophoto)

Mentre i mercati finanziari di tutto il mondo annaspano in una crisi che evoca gli spettri del Grande Crollo e nel giorno in cui viene tecnicamente confermato che l'Italia è in recessione, i piloti e le hostess dell'Alitalia, riuniti all'aereoporto di Fiumicino, levano al cielo urla di gioia alla notizia che la cordata di imprenditori riunita sotto le insegne della Cai ha ritirato la sua offerta di acquisto della compagnia aerea.

Possibile? Sì, è accaduto. I cultori dell'estetica della memoria avrebbero forse preferito una data diversa, per esempio il 16 settembre, perché in questo modo si sarebbe potuto "festeggiare" meglio il sessantaduesimo compleanno dell'Alitalia, nata il 16 settembre 1946 con il 47% del capitale controllato dall'Iri e il 30% nelle mani del Tesoro britannico.

Ma non importa. Il conto alla rovescia è scattato tra schiamazzi surreali e acrobatiche circonvoluzioni sindacali (l'asse tra la Cgil e i sindacati autonomi e corporativi con un'inedita "Aquila rossa": chissà cosa avrebbero detto i riformisti Luciano Lama, o Giorgio Amendola, o lo stesso Giorgio Napolitano, oggi Presidente della Repubblica, che immaginiamo molto preoccupato per il precipitare degli eventi).

Non c'è davvero nulla di che rallegrarsi. Si procede a passi veloci verso il fallimento di ciò che resta di una (ex) compagnia di bandiera sventrata dai debiti e da una storia gestionale punteggiata da errori clamorosi in cui l'hanno costretta la collusione del sistema politico e sindacale.
Si potrebbero scrivere fiumi di parole sulle occasioni perdute nel passato remoto e recente. Qualche pagina gloriosa, che pure c'è stata soprattutto nei primi vent'anni di vita della compagnia, non può cancellare la rotta di un declino inevitabile, consolidatosi nel tempo bilancio dopo bilancio.

Disse nel 1947 il suo primo presidente, l'ambasciatore Giuseppe De Michelis: «Al contrario del consueto, in questa speciale azienda non s'impone soltanto e soprattutto la finalità del tornaconto economico». Peccato che l'interesse nazionale (un dato certo e comune agli altri Paesi europei, ieri come oggi, si pensi alla Francia o alla Germania) sia stato più che altro il comodo schermo dietro il quale sono proliferate e ingrassate corporazioni d'ogni ordine e grado restìe a misurarsi con la concorrenza e a stare al passo con i tempi.

I piloti, le famose "aquile selvagge", certo, ma anche il personale di volo. E uno stuolo di dirigenti e manager di primissima fila che più che le fortune dell'impresa hanno fatto quelle personali. Il tutto, accompagnato da un blocco "a monte", quello politico-sindacale, che ha impedito, per una ragione o per un'altra, e da un governo a un altro, di far correre un'azienda (i cui costi si sono scaricati per decenni sui contribuenti italiani) che a fine giugno scorso perdeva più di 3 milioni al giorno.

Fallimento: l'orizzonte è oggi questo. Una linea rossa, nemmeno troppo sottile, che il plaudente popolo di Fiumicino non ha visto. Presto, molto presto, gli aerei saranno costretti a terra. Mentre il commissario Fantozzi, ormai a corto di liquidità e fermo il vincolo della tutela dei creditori, è obbligato ad avviare le procedure di mobilità dei dipendenti. Il che vuol dire vendere a pezzi la società e perdere migliaia di posti di lavoro nell'arco di due anni, ben che vada, a fronte di 7 anni di ammortizzatori sociali garantiti dall'accettazione dell'accordo.

L'offerta della Cai, fino alle 15,50 di ieri, era l'unica sul tavolo. La Cgil trasporti (mentre una lettera del segretario Guglielmo Epifani a Roberto Colaninno dava la sua disponibilità all'accordo-quadro per ciò che "gli competeva") e i sindacati autonomi di settore hanno detto "no". Cisl, Uil e Ugl erano per il "sì" pieno e hanno sottoscritto un contratto. Ma la cordata degli imprenditori ha ritirato l'offerta perché non ha ritenuto praticabile procedere sulla strada prevista, soprattutto a motivo del rifiuto della Cgil.

Il Governo non ha potuto che prendere atto della situazione venutasi a creare. E francamente ha fatto bene, ieri, a non inerpicarsi sui sentieri di nuove mediazioni. Se ci sarà modo di riprendere il filo del discorso lo si vedrà presto, forse già oggi, come ci sarà modo di analizzare che cosa è accaduto dietro le quinte del rapporto tra il Pd e la Cgil e dietro gli arabescati distinguo tra Cgil nazionale e Cgil trasporti.

Ad ogni buon conto, chi ha parlato di "catastrofe" nelle relazioni industriali ha probabilmente colto nel segno. Ci voleva coraggio a dire "sì", da parte dei sindacati e degli stessi imprenditori che avevano raccolto la sfida. Ma ci voleva forse ancor più coraggio a dire "no" e levare al cielo urla di giubilo per il "pericolo scampato". Ma torneranno, in cielo, gli aerei Alitalia?

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