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Borse mondiali, dopo Lehman Brothers rischio «effetto domino»

di Valeria Novellini

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12 settembre 2008
Le performance della settimana

«It's the end of the world as we know it (and I feel fine)»: il grande hit dei R.E.M. del 1987 sembra essere diventato il motto dell'inizio di settembre 2008, per molteplici ragioni. E se ai più accorti queste note sembrano familiari è probabilmente perché ricordano l'altrettanto nota cover italiana "A che ora è la fine del mondo?" di Ligabue. Se l'esperimento LHC del CERN di Ginevra (peraltro ancora in corso …) ha fatto rispolverare timori millenaristici su un presunto "buco nero" che avrebbe risucchiato la terra, non si sono placate nemmeno le paure sui mercati finanziari. Per ora, come già si era accennato nel commento all'andamento settimanale di fine agosto, si sono materializzati i peggiori timori su Lehman Brothers, sulla quale si rincorrevano da tempo voci di svalutazioni e tagli al personale sempre però puntualmente smentite dal CEO Richard Fuld. Ma dopo la diffusione degli ultimi risultati trimestrali dell'istituto finanziario statunitense (anticipati rispetto alle attese dopo che è giunto il "no" definitivo all'ingresso in Lehman Brothers, con una quota del 25%, della Korean Development Bank), occorre rendersi conto che veramente, in un certo senso, siamo "alla fine del mondo così come lo conoscevamo", per lo meno per quanto concerne la profondità della crisi finanziaria innescata dai mutui subprime. E' sempre il CEO Richard Fuld (ancora al suo posto) a cercare ora un "cavaliere bianco" per Lehman Brothers e, naturalmente, ora il tam-tam sui possibili nomi del nuovo azionista di controllo (a cui potrebbe essere ceduto anche il 100% della banca, e in fretta: una soluzione è attesa forse già entro il 14/9) è incessante. Fra i potenziali "candidati" sono state incluse anche banche che a loro volta non stanno attraversando un momento favorevole, quali la britannica Barclay's; altre voci parlano di Deutsche Bank, ma è anche possibile che, visto che il Tesoro USA e la FED stanno partecipando alle riunioni per il salvataggio della banca, si cerchi una soluzione "tutta statunitense", in questo caso con Bank of America in prima fila. Resta da chiedersi a questo punto quale sarà l'effettiva dimensione dei nuovi esuberi in Lehman Brothers dopo i 6.000 già avvenuti da gennaio 2007 a oggi: probabilmente molti più dei 1.500 ventilati solo due settimane fa. Ancor più di questo, ci si chiede se altre importanti case d'investimento americane siano anch'esse a rischio, con un potenziale e deleterio "effetto domino". Nessuno si arrischia più a prevedere una
rapida ripresa dei mercati finanziari, e l'ultimo sondaggio Morningstar a 23 case d'investimento internazionali operanti in Italia ha inequivocabilmente affermato che, per far ripartire le Borse mondiali, è necessario che l'economia statunitense si rimetta in marcia e che la crisi creditizia trovi una soluzione.
Tema questo che rappresenterà ovviamente la priorità per il nuovo Presidente americano che sarà eletto fra un paio di mesi; l'avvicinarsi delle elezioni USA è peraltro quasi sicuramente stato uno degli elementi che hanno contribuito al recente rafforzamento del dollaro rispetto a tutte le principali valute. Per contro una spinta a un nuovo indebolimento della valuta USA potrebbe giungere dalla prossima quantificazione dell'effettivo (e salato) costo del salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac: operazione ormai ineluttabile visto che le due agenzie di cui il Tesoro USA verrà a detenere circa l'80% finanziano circa la metà dei mutui americani. Va fra l'altro ricordato l'Office of Management and Budget statunitense ha annunciato la possibilità di consolidare nel bilancio federale i 5.200 miliardi di dollari di debito delle due agenzie (di cui 1.700 di debito non garantito e 3.500 di garanzie sui mutui). Non cessa inoltre il boom dei pignoramenti immobiliari che ad agosto ha
registrato il record assoluto dal 2005, con 303.879 proprietari di case colpiti da questa procedura (+27% su base annua); tuttavia l'agenzia specializzata RealtyTrac ritiene che le recenti misure prese dall'amministrazione USA in favore delle famiglie indebitate potrebbero, in prospettiva, forse mitigare le conseguenze della crisi.
Quanto all'evoluzione dei tassi, il sondaggio Morningstar prevede che la FED non li ritoccherà al rialzo fino al prossimo anno, imitata in questo anche dalla BCE; in tale contesto la maggior parte dei gestori prevede stabilità anche per i corsi obbligazionari, e non diversa è l'indicazione per i mercati azionari europei (ma è aumentata dal 17% al 26% la percentuale di coloro che si attendono una discesa delle Borse UE nei prossimi mesi).
Del resto in Europa il Presidente dell'Eurogruppo Claude Juncker ha recentemente dichiarato che "l'indebolimento della crescita è decisamente peggiore di quanto si pensava qualche mese fa", ma "non si vedono rischi di una grave recessione". Chi sta affrontando le maggiori difficoltà al momento è forse la Spagna, dove il premier Zapatero ha annunciato lo stanziamento di crediti per 3 miliardi di euro a sostegno del mercato immobiliare
nonché un regime fiscale "più favorevole" per le società di investimenti che interverranno a sostegno di tale settore agevolando la partecipazione di piccoli e medi risparmiatori.
Giungendo a casa nostra, sia le rilevazioni Istat che quelle della Commissione Europea hanno registrato un'economia in stagnazione con un PIL 2008 atteso in crescita solo dello 0,1% (contro un +0,5% stimato nella scorsa primavera), e del resto la produzione industriale del mese di luglio, sempre in base alle ultime rilevazioni Istat, ha evidenziato una contrazione dell'1,1% su base mensile e del 3,2% su base annua, a fronte di una flessione complessiva per l'Eurozona rispettivamente pari allo 0,3% su base mensile e all'1,7% su base annua. Sia i dati italiani che quelli europei sono risultati significativamente peggiori delle attese del mercato; e nel caso dell'Italia vi è la possibilità che preludano a un segno negativo del PIL per l'anno in corso.
  CONTINUA ...»

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