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La crisi dei mercati e la politica americana

di Mario Margiocco

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28 settembre 2008
John McCain e Barack Obama si salutano prima del confronto

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E qui va introdotto l'unico tassello mancante in questa storia: chi ha alimentato il mercato dei mutui subprime, o comunque il mercato tutto a rischio dei mutui a tasso variabile, acquistandoli? Il sistema finanziario, certo, ma soprattutto negli Stati Uniti le due finanziarie prima semi pubbliche, e dal 7 settembre nazionalizzate per salvarle dalla bancarotta, Fannie Mae e Freddie Mac, che hanno metà del mercato secondario dei mutui. Senza la liquidità fornita da Fannie e Freddie, le banche non avrebbero potuto far esplodere i mutui americani cresciuti in pochi anni in misura esponenziale, e arrivati a 14 mila miliardi di dollari. Fannie e Freddie si finanziavano sul mercato internazionale, acquistavano i mutui, li cartolarizzavano, in gran parte li rivendevano, a banche americane, europee e asiatiche. L'esplosione di Fannie e Freddie, cresciute anch'esse enormemente negli ultimi 15 anni, fu una scelta politica, tutelata dalla più potente rete di lobbismo di Washington. Già 20 anni fa qualcuno le definiva una bomba ad orologeria. E Andrew Cuomo, quando era a Washington come ministro dell'abitazione e del welfare casa, le definì "a study in power", un caso di puro potere. Intoccabili. Feudo democratico, ma abili anche a coinvolgere un numero sufficiente di repubblicani, con assunzioni d'alto rango (tra gli altri, l'attuale presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick) e consulenze, donazioni e fondi ai politici.
Fannie e Freddie stavano per saltare e le salva il bilancio federale. Che ora salva quel che resta di Wall Street infettata dai mutui scade nti che senza Fannie e Freddie non sarebbero stati così numerosi. E il tutto mentre tre premi Nobel (Robert E. Lucas Jr. nel 1955, Robert C. Merton e Myron Scholes nel 97) andavano a chi aveva pensato e reso operative le formule per la creazione di un portafoglio titoli "virtualmente privo di rischi", come scriveva dopo il premio a Merton, suo professore, il Bollettino dell'Harvard business school.
I rischi sono ora tutti a Washington e oggi sapremo come il Congresso intende affrontarli. La palla ritorna alla politica. I mercati passano un brutto momento, ma vanno tutelati, non c'è alternativa. E due candidati, uno troppo anziano e più condottiero che economista e l'altro forse non sufficientemente esperto, devono ripulire la stalla.
Se è vero, come si è cercato di dimostrare, che i guai vengono da lontano, e dagli anni di Reagan in modo particolare, il ciclo politico dovrebbe giocare tutto a favore dei democratici, come i sondaggi per il Congresso confermano, e di Obama, di nuovo in vantaggio ora, ma non come dovrebbe. Più che sulle idee e i programmi,di cui tutti sembrano a corto, è un voto che si giocherà sulle generazioni e sul character, su quanto l'elettore medio si identificherò con uno o l'altro candidato. Per questo, se la logica politica dice Obama, non si può ancora escludere McCain.

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