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L'Italia «trema» con la merchant Lehman

di Morya Longo

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15 SETTEMBRE 2008

Ha colpito le Borse. Ha picchiato gli investitori di tutto il mondo. Ma ora la
debacle di Lehman Brothers rischia di lasciare ferite anche tra gli emittenti obbligazionari italiani: ministero del Tesoro in prima fila. La Repubblica italiana, come tantissime società e banche, ha infatti effettuato negli anni numerose emissioni obbligazionarie avvalendosi della consulenza di Lehman Brothers: dal 2003 ad oggi la banca d'affari americana ha curato, in pool con altre, il lancio di almeno 7 bond denominati in dollari targati Italy. Cifra che fa dell'istituto guidato da Richard Fuld uno dei partner più attivi con Via XX Settembre. Il problema è che ora questa consulenza rischia di trasformarsi in un boomerang: se Lehman non riuscisse a superare la crisi attuale, il Tesoro e gli altri emittenti potrebbero infatti rischiare di trovarsi con il "cerino" dei derivati in mano. Certo, il condizionale è d'obbligo. Ma sono d'obbligo anche le preoccupazioni. E fonti bene informate riferivano ieri che in Via XX Settembre c'è una certa apprensione.

Il nodo è tecnico, ma anche di sostanza. Quando una società o un ente pubblico emettono un prestito obbligazionario, si avvalgono della consulenza di un gruppo di banche d'affari.E Lehman Brothers, che per 158 anniè stata una delle più blasonate del mondo, è sempre stata molto attiva. Dopo l'emissione di un bond, è spesso consuetudine stipulare con le stesse banche un contratto derivato. Si tratta di uno strumento finanziario che serve per trasformare un tasso fisso in un tasso variabile oppure una valuta in un'altra: chi ha emesso obbligazioni in dollari per venderle in America ma vuole comunque il rimborso in euro, per esempio, stipula un derivato con le banche ed è accontentato. Ovviamente questi derivati (tecnicamente si chiamano swap) sono anche una scommessa sul futuro: a seconda dell'andamento delle valute o dei tassi d'interesse, una delle due controparti vince e l'altra perde. Insomma: o guadagna l'emittente del bond oppure le banche. Tutto dipende da come è stata fatta la «scommessa» e da come si muovono i mercati.
Qui viene il punto. Se una delle controparti con cui è stato stipulato il derivato dovesse "saltare" (fallire o finire in default), il contratto salterebbe di conseguenza. A questo punto l'altra controparte si troverebbe di fronte a due possibili conseguenze: vedersi annullare una perdita potenziale (nel caso in cui il mark to market sia negativo) oppure rischiare di perdere un guadagno potenziale (nel caso in cui il derivato sia per lui in positivo). Qui nasce la questione: la Repubblica italiana è in positivo o in negativo sui derivati stipulati con Lehman? Ieri sera «Il Sole-24 Ore» ha contattato il Tesoro, ma non è arrivata risposta.

Non conoscendo la risposta, si possono dunque ipotizzare due scenari. Se il Tesoro fosse in guadagno sui derivati stipulati con la banca Usa, questo guadagno diventerebbe un credito: in caso di fallimento o di default, quindi, via XX Settembre dovrebbe insinuarsi al passivo per cercare di recuperarne almeno una parte. Se invece il Tesoro fosse complessivamente in perdita, allora sarebbe una fortuna: sarebbe come avere stipulato un mutuo con una banca che non c'è più. Bene inteso: queste sono per ora mere ipotesi. Lehman Brothers non è infatti fallita (anzi in America stanno facendo di tutto per salvarla) e gli stessi mercati finanziari assegnano al suo default una probabilità di appena il 18%. Il nodo di Via XX Settembre, dunque, per ora è solo teorico. Ma comunque non impossibile.

E il Tesoro non è l'unico a incrociare le dita. Lo stesso problema (o vantaggio) potrebbe infatti presentarsi per tanti altri emittenti. Telecom Italia, per esempio, a maggio ha lanciato un bond da 2 miliardi di dollari e tra le quattro banche capofila figura quella guidata da Richard Fuld. Idem per la Banca Popolare di Milano, che ha emesso obbligazioni da 1,25 miliardi di euro in febbraio. Stesso discorso vale per il bond legato all'inflazione lanciato lo scorso ottobre da Terna. Lehman è sempre stata protagonista. Speriamo che gli emittenti italiani non ne debbano pagare le conseguenze.

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