La fine di Lehman Brothers «è il risultato di una politica di leva finanziaria molto aggressiva nel bel mezzo di una grave crisi». L'epicentro del terremoto? «Cattiva regolamentazione, mancanza di trasparenza e la compiacenza del mercato come prodotto di anni e anni di guadagni». Così Luigi Zingales, professore di Impresa e Finanza alla Graduate School of Business dell'Università di Chicago nell'intervento svolto lunedì alla Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti davanti al Committee on oversight and Government reform.

Zingales ha sottileato che la guardia è stata abbassata anche per effetto di un prolungato periodo di crescita dei prezzi nel settore immobiliare e, contemporaneamente, di un ricorso esacerbato alle cartolarizzazioni basate su standard come minimo disinvolti. Nel caso di Lehman (e di altre banche d'investimenti), ha spiegato ancora Zingales, il disastro è stato il naturale esito di un modo consolidato di rincorrere la costruzione di prodotti finanziari strutturati basati su securities sempre più complesse e e premiate da rating tripla A che nel tempo hanno perso il contatto con la realtà.

«In un clima generale di corsa ai rendimenti - ha detto ancora Zingales - i manager dei fondi sono andati avanti pur essendo consapevoli del rischio che si stavano prendendo. Convinti, oltretutto, che se lo shock fosse arrivato tutti i concorrenti avrebbero avuto lo stesso problema e che, con buona probabilità, il Governo sarebbe intervenuto». Ecco perché «la decisione del 19 settembre (da parte del Tesoro Usa, ndr) di garantire tutti i fondi monetari» ha finito «per avvalorare il gioco d'azzardo, distruggendo per sempre lo stimolo ai money manager di valutare con attenzione i rischi».

Tornando a Lehman, poi, tutto questo è stato aggravato da altri due fattori: l'uso folle della leva e l'affidamento forte ai finanziamenti tramite debito a breve. «La banca guidata da Richard Fuld era arrivata a più di 30 a 1 sotto il profilo della leva finanziaria - ha ricordato Zingales - vale a dire che con un semplice calo del 3,3% nel valore degli asset la compagnia rischiava l'insolvenza». (Al.An.)