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La mossa dell'Australia

dal corrispondente Luca Vinciguerra

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7 ottobre 2008


SHANGHAI – L'Australia apre copiosamente i rubinetti del credito per provare a contrastare la crisi finanziaria che sta squassando il mondo. Oggi, subito dopo la chiusura della Borsa, la Reserve Bank of Australia ha annunciato un taglio dei tassi d'interesse dell'1 per cento. Era da sedici anni che le autorità monetarie australiane non varavano un taglio del costo del denaro tanto robusto. La reazione determinata e aggressiva di Sidney ha sorpreso gli analisti, che si attendevano una riduzione del tasso di sconto di soli 50 punti base.

Le altre banche centrali asiatiche seguiranno l'esempio australiano decidendosi ad allargare i cordoni della politica monetaria?
Sulla delicata questione, ovviamente, tutti i grandi istituti di emissione del Far East preferiscono non sbilanciarsi e tengono la bocca ben cucita. Tuttavia, dietro la mossa a sorpresa dell'Australia (la sorpresa non è il taglio del costo del denaro, ma la sua entità), c'è quasi certamente una manovra concertata tra le banche centrali della regione e, probabilmente, anche del resto del pianeta.

Da giorni, ormai, in tutta l'Asia trovare dollari (non solo americani, ma anche di Hong Kong e di Singapore) sul mercato interbancario è un'operazione sempre più difficile e penosa. Finora il Continente è stato solo lambito dalla coda del ciclone che ha investito Wall Street e poi a seguire l'Europa: a parte qualche indiscrezione subito smentita, infatti, nessuna istituzione finanziaria asiatica è stata messa ko dalla crisi.

Ciononostante, giorno dopo giorno, anche nel Far East la liquidità sta diventando una merce sempre più rara. "Il funding quotidiano è un'operazione a dir poco snervante. Se questa situazione dovesse continuare ancora per qualche settimana, saranno guai seri anche per l'economia reale", avverte un banchiere.

In questo quadro, è assai probabile che nelle prossime ore le altre banche centrali asiatiche seguano l'esempio dell'Australia e assestino un colpo di forbice al costo del denaro. A giudicare da alcuni segnali che arrivano dal mercato monetario cinese, la prima a muoversi potrebbe essere la People's Bank of China. D'altronde, Pechino non sembra avere molte altre carte da giocare perché, se la crisi finanziaria finirà davvero per contagiare l'economia reale, le prime a farne le spese saranno proprio le esportazioni di made in China nel mondo.

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