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Editoriale / Garanzie alle banche, certezza alle imprese

di Guido Gentili

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23 OTTOBRE 2008

Logica vorrebbe, in un Paese «bancocentrico»come l'Italia, che se gli istituti di credito ce la fanno a superare la crisi (meglio di altri competitor e magari senza nemmeno ricorrere agli aiuti dello Stato), lo stesso dovrebbe accadere per le imprese.
È quello che tutti, giustamente, si augurano. Però, a volte, ciò che appare logico nasconde nelle pieghe della realtà aspetti più complessi. Accade infatti in Italia che il sistema creditizio, già per fortuna prudente per suo conto, abbia rafforzato questo suo atteggiamento, spingendolo ai limiti dell'immobilismo. Per sfortuna, in questo secondo caso, delle imprese e delle famiglie, i cui problemi sono stati appena richiamati dal Governatore Mario Draghi. L'economia reale è a secco di credito, ecco il punto, nonostante la pioggia torrenziale di liquidità che dai Governi è stata riversata sui mercati finanziari. Le banche non ritengono esaurito l'allarme e temono che gli effetti della recessione si scarichino sulle imprese, avviando una catena di fallimenti. Meglio, allora, essere ancora più cauti, parcheggiando la liquidità invece che farla girare affidando le imprese e le famiglie. Una tendenza generale, rotta in qualche modo da Francia e Gran Bretagna, dove gli istituti di credito, a fronte degli interventi statali a sostegno della ricapitalizzazione, sono stati praticamente obbligati a erogare crediti a favore delle aziende.

L'Italia, quanto a siccità dei prestiti all'economia reale, non fa eccezione. Ma il problema diventa in questo caso ancora più battente se si considera che il nostro sistema è fondato sulle imprese medio-piccole (più del 98% sotto la soglia dei 20 addetti su un universo di 4,2 milioni di aziende) le quali, al contrario delle «grandi», non possono ottenere condizioni, sociali e di credito, più vantaggiose. E sono, spesso, sottocapitalizzate.

Le banche vogliono garanzie, le imprese i prestiti. È vero che siamo in un'eccezionale condizione di emergenza, ma se si interrompe il circuito «del dare e dell'avere» l'intero sistema rischia di rotolare su un piano inclinato fino alle estreme conseguenze. Dunque, sono necessari, al tempo stesso, grande senso di responsabilità da parte di tutti e qualche idea nuova che almeno contribuisca a far sì che la pioggia di liquidità scenda anche a finanziare l'economia reale. Subito, e non in un indeterminato futuro prossimo.

Dopo l'attivazione del confronto tra banche e industrie, potrà essere utile l'iniziativa di Berlusconi di convocare un incontro triangolare a Palazzo Chigi. Sarà anche l'occasione per sgombrare il campo da ogni possibile equivoco. A Draghi che aveva messo l'accento sulle conseguenze negative di una restrizione del credito, ieri le banche hanno risposto con l'ad di Intesa Sanpaolo Corrado Passera: «Per ora non sta avvenendo ed è un buon fatto», ha spiegato. Il presidente dell'Abi Corrado Faissola ha citato i dati di settembre che indicano impieghi sostenuti e un boom dei depositi. Dal mondo dell'industria continuano ad arrivare invece segnali di "fermo-credito" e di difficoltà nel rapporto con le banche.

Quanto alle idee nuove, non è possibile in Europa guardare al caso americano, dove la banca centrale ha avviato un gigantesco piano di acquisto di commercial paper: per la Bce questa strada non è percorribile.

E l'Italia? Si sono mosse le Regioni con iniziative varie a sostegno, ma certo non sufficienti a risolvere l'emergenza liquidità. E nell'interrogarsi sul «che fare» si continua a ragionare intorno alle garanzie pubbliche, visto che la firma dello Stato,come dice l'economista Jean Paul Fitoussi, resta ancora la più sicura. Tanto è vero che si parla di estendere le garanzie statali ai Confidi.
Il ricorso allo Stato, inevitabilmente, porta così anche sulla strada della Cassa Depositi e Prestiti, il gigante controllato al 70% dal Tesoro e al 30% dalle Fondazioni bancarie. Oggi, è insieme una holding di partecipazioni ( tra le altre, in Eni, Enel e Poste), la "banca degli enti locali" e la finanziaria per le infrastrutture.C'è ora l'idea che diventi una sorta di Fondo sovrano nazionale d'investimento con una dote di 90 miliardi.C'è laproposta ( Mario Zanone Poma, presidente del Mediocredito Centrale) che attivi un fondo di garanzia da un miliardo che potrebbe generare fidi a medio e lungo termine per 10 miliardi. In ogni caso, per la Cdp, dove è presente il Fondo rotativo per il sostegno delle imprese, sembra arrivato il momento delle scelte. In Francia opera la CdC (200 miliardi di patrimonio), che ha concesso garanzie per 6 miliardi a circa 50mila Pmi ed è presente in molte società quotate. In Germania è attiva la KfW (350 miliardi di patrimonio), che sostiene anche start-up e Pmi oltre a infrastrutture e politiche sociali.

Il ricorso alla Cdp pone problemi delicati dietro i quali qualcuno intravede una riedizione del (peggior) modello Iri, eventualità da rifiutare con fermezza. Ma che il «gigante addormentato», come lo chiama il ministro Giulio Tremonti, possa avere un ruolo di spinta maggiore in questo momento è una necessità.Se poi la sveglia suonasse anche sul terreno delle piccole e medie imprese, per riattivare il canale della liquidità oggi bloccato, sarebbe ancora meglio.

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