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I governi non lascino sola la politica monetaria

di Fabio Pammolli*

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8 ottobre 2008

Non bisognava aspettare questo stadio di crisi perché FED e BCE finalmente facessero mosse coordinate con un medesimo obiettivo. I fatti degli ultimi due anni hanno ampiamente dimostrato che il coordinamento della politica monetaria "transatlantica" deve divenire un tassello di base del nuovo ordine mondiale, e non soltanto sopraggiungere come extrema ratio di fronte alle crisi.

Oggi entrambe le banche centrali hanno ridotto il tasso di sconto di 0,5 p.p., la FED portandolo a 1,5 percento, la BCE a 3,75. Di fronte al propagarsi della crisi dei mercati finanziari (per una caduta delle borse mondiali di questa entità si deve tonare indietro al 1929), si è scelto di aumentare la liquidità del sistema, per arginare le situazioni di insolvenza e di fallimento di intermediari e imprese e scongiurare il più possibile ricadute durature sull'economia reale.

Per la BCE si tratta di una inversione di "rotta" rispetto alla linea seguita sinora, che l'ha vista sempre ribadire il suo ruolo istituzionale, a difesa della stabilità monetaria in una fase di inflazione ben al di sopra del target di Maastricht. Ma è impossibile non riconoscere la straordinarietà delle condizioni, perché dal divampare della crisi finanziaria e dal suo propagarsi all'economia reale è possibile che scaturiscano anche effetti negativi sulla stabilità monetaria, con dinamiche che potrebbero assumere sia carattere inflattivo che deflattivo. La BCE, preoccupandosi di arginare la crisi con una scelta espansiva di politica monetaria sta, di fatto, anche tutelando la stabilità monetaria in un senso più ampio, al di là del tasso di inflazione corrente in Eurolandia.

Per la FED, invece, si tratta di una scelta coerente con la politica monetaria condotta negli ultimi anni, che l'ha vista tentare di sostenere l'economia americana, confidando anche nella sua maggior flessibilità rispetto all'Europa, che la rende più reattiva alla stimolazione monetaria e meno propensa a tradurla in soli aumenti dei prezzi. Ma adesso il costo del denaro negli USA è davvero ai minimi e questo, congiuntamente al piano "Paulson" varato dal Congresso, crea condizioni di aumenti ulteriori di una dinamica inflazionistica che in USA è già ai massimi da un ventennio (oltre il 5 per cento). E non si deve dimenticare che l'inflazione USA si traduce in spinte inflazionistiche in tutto il mondo, e che il Dollaro debole che ne deriverebbe potrebbe riavviare la crescita delle quotazioni del greggio.

La situazione rimane ad un livello di altissima criticità. Le due banche centrali hanno fatto la loro parte per evitare rotture irrimediabili nel funzionamento dei mercati e dell'economia reale. Ma da solo il loro intervento non basta, perché la leva monetaria non può andare oltre. Non solo si apre la prospettiva, nell'immediato, di una ondata inflazionistica su scala mondiale, ma anche la stessa ripresa delle economie reali potrebbe rimanere insufficiente o persino non arrivare. In periodi di aspettative negative e di sfiducia generalizzata, la politica monetaria mostra il suo "lato debole", quello dell'asimmetria: è tanto incisiva e rapida quando l'obiettivo è di raffreddare la dinamica dell'economia con scelte restrittive sui tassi e sul credito, quanto impotente a ridarle slancio con abbattimenti del costo del denaro e aperture di credito.

Sarebbe un errore pensare che la risoluzione della crisi possa passare per la sola politica monetaria. I Governi devono assumersi le loro responsabilità sul fronte delle politiche economiche reali, con le riforme per migliorare il funzionamento dei mercati e la produttività. Soprattutto in Europa dove, indipendentemente dalla crisi, la bassa crescita è ormai un fatto strutturale e alcuni Paesi, come l'Italia, si esprimono significativamente al di sotto del loro potenziale. I dati diffusi proprio oggi da EUROSTAT fotografano un PIL in arretramento nel Vecchio Continente, -0,2 per cento il secondo trimestre sul primo del 2008, con l'Italia a -0,3 per cento. Anche i tendenziali suggeriscono allerta: su base annua il PIL di Eurolandia cresce dell'1,4 per cento su dati grezzi e dell'1,7 su dati destagionalizzati, meno rispetto al 2,1 e al 2,3 del trimestre precedente; per l'Italia il tendenziale è addirittura negativo e pari a -0,1 per cento.

La maniera migliore per volgere in positivo la mossa espansiva delle due banche centrali è quella di compiere rapidi ed incisivi progressi sul fronte delle riforme strutturali. E questo vale adesso per imboccare la via di uscita dalla crisi; ma soprattutto vale per il futuro, perché tanto più la leva monetaria potrà essere utilizzata in funzione anticlica, quanto più essa potrà contare su scelte responsabili della politica economica reale .

Restano aperti due grandi temi: da un lato, il coordinamento delle politiche monetarie tra Stati Uniti ed Europa e, dall'altro, il coordinamento della politica monetaria della BCE con la politica economica dei Partner. Chissà come si sarebbe stata gestito questo momento, se tutti si fossero fatto trovare più preparati.

* Presidente CERM (http://www.cermlab.it/)

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