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L'emergenza ora diventa la crescita

di Giacomo Vaciago

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10 OTTOBRE 2008


Il crollo di ieri sera a Wall Street dimostra che a tutti gli altri elementi di preoccupazione i mercati ora antepongono quello di una grave recessione globale.
Un vecchio adagio sempre valido dice che quando ci sono tre obiettivi da raggiungere occorrono tre strumenti per riuscirvi. È una rappresentazione degli odierni problemi della nostra economia e quindi della politica economica che servirebbe. Con un'avvertenza: per ciascuno di quei tre problemi, noi italiani non siamo soli né siamo quelli messi peggio, ma non ci consola affatto sapere che altri stanno peggio di noi. Il fatto che quei problemi li condividiamo con altri significa soprattutto che non riusciremo a risolverli da soli: il nostro Governo non basta, non perché sia incapace o cattivo ( come la polemica po-litica vorrebbe far credere), ma perché insufficiente rispetto alla scala globale dei problemi Stiamo soffrendo in questi giorni e ancor di più continueremo a farlo nei prossimi tempi delle conseguenze di tre shock cui non abbiamo posto tempestivo rimedio. Anzitutto, la crisi dei mutui subprime, che da oltre un anno ha determinato una restrizione monetaria e creditizia: stiamo pagando più cari i nostri mutui in conseguenza del fatto che alcuni debitori non hanno rimborsato i loro debiti bancari. Le Banche centrali danno molta liquidità ai mercati, cioè consentono che tutto ciò prosegua: tirare avanti è il male minore, ma certo non è la soluzione. A questo primo problema ancora irrisolto, si è poi aggiunta la bolla dei prezzi dei beni energetici e alimentari. Da metà luglio, quella bolla si sta sgonfiando, ma tuttora il consumatore paga energia e alimenti molto più di un anno fa. Ne dipendono anche le ridotte fortune dei beni di consumo durevoli, che usano molta energia, come l'auto ed elettrodomestici. Terzo e ultimo shock: il crollo delle Borse. Siamo più poveri, non solo quando andiamo a fare la spesa, ma anche quando guardiamo il nostro patrimonio: costano di più i debiti, mentre valgono di meno i crediti.

Stupisce che la somma di questi tre shock sia un'economia in recessione? E che ciò valga contemporaneamente per Stati Uniti ed Europa? E che il piano Paulson (e la stessa cosa sarebbe successa se ci fosse stato un suo emulo europeo) non basti più? Il pessimismo che si è accumulato in questi mesi è così forte che i mercati hanno reagito male anche quando le sei maggiori Banche centrali hanno congiuntamente deciso, e comunicato con una premessa comune, un taglio straordinario dei tassi d'interesse. Se tante Banche centrali annunciano di condividere l'analisi e la cura della recessione, perché i mercati sono ancora più pessimisti?

I tre problemi da risolvere significano che nei prossimi tempi occorre avere una sola chiave di lettura:l'economia dev'essere curata direttamente, e non solo e non più migliorando a monte le condizioni patrimoniali degli intermediari. La crisi delle banche, e il crollo dei loro titoli in Borsa, essendo di gravità non comune nelle settimane scorse ha attratto tutta l'attenzione dei Governi e dei media. Ma in prospettiva occorre riflettere anche sul fatto che questo non è l'unico problema di fronte a noi. La recessione in cui oggi ci troviamo rischia di aggravare ogni altro problema ancora irrisolto.

Nessuno ha bacchette magiche, ma è essenziale la consapevolezza che continuando a lasciare irrisolti i grandi problemi questi finiscono col contagiarsi l'un l'altro, come è già successo con i principali intermediari finanziari. È anche fondamentale rendersi conto che nei confronti della recessione non ci può consolare molto sapere che la nostra economia ha ancora punti di forza robusti e che altri Paesi, come Irlanda e Spagna, sono messi peggio di noi. Ormai la recessione non esiste più in un solo Paese. Come la crisi finanziaria nata negli Usa è poi diventata globale, così la recessione è per ora solo di Stati Uniti ed Europa. Sta alla saggezza dei nostri Governi impedire che anche la recessione trascurata diventi globale e perciò più grave. Il taglio dei tassi di interesse, che era indispensabile, da solo non basterà se i principali Governi non recuperano, con strategie di politica economica condivise, quella "sovranità" cui sembravano aver rinunciato. Abbiamo imparato in questi mesi che i Governi europei non seguono il metodo della cooperazione, ma quello diverso (e comunque efficace)dell'emulazione. In altre parole, qualcuno inizia a muoversi e gli altri seguono: l'abbiamo visto nel caso dell'intervento a favore dei depositanti, ha iniziato l'Irlanda e gli altri più o meno si sono accodati. Dovrebbe essere seguito questo esempio anche con la recessione: quale Governo si muoverà per primo?

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