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I libici puntano anche al 2% dell'Eni

di Giuseppe Oddo

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19 ottobre 2008

La quota di capitale Eni di cui sono in possesso i fondi sovrani libici, che in questo momento si aggira sullo 0,7%, dovrebbe essere aumentata nei prossimi giorni fino a sfiorare il 2%, la soglia che fa scattare l'obbligo della comunicazione alla Consob. A questo livello di partecipazione, osserva una fonte, in base allo statuto dell'Eni, un'azionista ha il diritto di sottoporre al voto dell'assemblea una lista di amministratori. L'obiettivo della finanza libica, che amministra i profitti del gas e del petrolio e, in Italia, è ormai vicina al 5% di UniCredit, è sostanziamente di tipo speculativo: far fruttare la massa di capitali derivante dalla vendita di idrocarburi. Ma rinsalda al tempo stesso i legami storici con il gruppo del "cane a sei zampe", le cui quotazioni nel Paese nordafricano hanno subito un'impennata con l'ascesa al potere di Muammar Gheddafi.
Già Enrico Mattei, fondatore e primo presidente dell'Eni, era stato in procinto di firmare un accordo con re Idriss, nel lontano 1958, che avrebbe dovuto dargli l'accesso alle risorse minerarie della Libia. Ma l'intesa fallì perché il re all'ultimo momento optò per le statunitensi Esso e Occidental Petroleum. Per mettere all'Eni i bastoni tra le ruote – ricorda l'ex presidente di Agip Petroli Giuseppe Accorinti in "Quando Mattei era l'impresa energetica" – furono chieste addirittura le dimissioni del referente libico di Mattei: il primo ministro Zine El-Abidine Ben Alì. La rivincia dell'Eni non sarebbe tardata se è vero che il gruppo italiano sarebbe stato negli anni successivi tra i sostenitori segreti di Gheddafi. Italo Pietra, che fu direttore del "Giorno", sostenne (in uno storico saggio dal titolo "Mattei, la pecora nera", Sugarco, 1987) che il fondatore dell'Eni avrebbe incontrato a Gela, ventiquattr'ore prima di perire nell'incidente aereo di Bascapè, un gruppo di emissari arabi, tra cui uno libico, per perfezionare un accordo per un colpo di Stato contro re Idriss.
Sta di fatto che l'Eni è ritornato in Libia subito dopo l'avvento di Muammar Gheddafi, l'uomo che ha guidato la "rivoluzione ideologica" che nel settembre 1969, sette anni dopo la tragica scomparsa di Mattei, portò alla caduta della monarchia. Risalgono al 1967 la scoperta del grande giacimento onshore di Bu Attifel e al 1976 quello del giacimento offshore di Buri, entrambi tuttora in produzione. Ed è dell'inizio del 1980 la scoperta dei giacimenti di gas al largo di Tripoli, il cui sfruttamento è avvenuto in anni recenti, che oggi alimentano il gasdotto Greenstream, il tubo sotto il Mediterraneo che fa affluire annualmente in Italia 8 miliardi di metri cubi di gas naturale.
Nell'ottobre 2007, poi, il gruppo italiano e la società libica Noc, posseduta dallo Stato, hanno perfezionato un accordo strategico che estende la durata dei titoli minerari dell'Eni in Libia fino al 2042 per le aree petrolifere e fino al 2047 per quelle a gas. L'accordo consentirà all'Eni di ampliare la portata del Greenstream di 3 miliardi di metri cubi l'anno e di realizzare un impianto di liquefazione di gas da 5 miliardi di metri cubi, destinato al mercato mondiale.

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