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Faissola: «Banche solide, non serve l'ingresso del Tesoro»

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28 ottobre 2008

Le banche italiane hanno «una buona capitalizzazione» e non serve l'ingresso del Tesoro per la ripatrimonializzazione degli Istituti consentito dal decreto legge varato dal Governo. Lo ha detto il presidente dell'Abi, Corrado Faissola, intervenendo in audizione davanti alla commissione Finanze del Senato sulla crisi dei mercati finanziari. «Per quanto riguarda la misura relativa al rafforzamento patrimoniale - ha detto - riteniamo che la solidità del sistema bancario italiano non dovrebbe rendere necessario sfruttare l'opportunità offerta dal provvedimento varato dal Governo che giudichiamo peraltro ben strutturato e consideriamo una ulteriore rete di sicurezza ed un ulteriore strumento prudenziale». Per Faissola, «occorrerebbe, peraltro, consentire una maggiore diversificazione degli strumenti finanziari a disposizione dello Stato per concorrere, se necessario, al rafforzamento del patrimonio di base delle banche».

«Il modello di business che ha portato alla situazione attuale - ha proseguito Faissola - è un modello estraneo alle banche italiane, le quali sono state negli anni fortemente impegnate a svilupparsi secondo linee di attività tradizionali (devo rimarcare qui, che per questo negli anni scorsi abbiamo dovuto subire talvolta anche critiche ingenerose). Ricordo peraltro, che mentre l'innovazione finanziaria assumeva i caratteri perniciosi che oggi tutti criticano, il nostro sistema era fortemente impegnato a consolidarsi e ad estendere la sua influenza sui mercati europei, particolarmente nei paesi dell'est». Il coinvolgimento delle banche italiane nella crisi è dunque un coinvolgimento sostanzialmente indiretto (titoli detenuti in portafoglio) e derivante dalla partecipazione a mercati, come quelli della liquidità, che sono globali. Ciò non ha purtroppo impedito che in mercati ormai pienamente globalizzati si avessero riflessi rilevanti anche sulle banche italiane, in termini di perdite dei valori azionari e dunque di capitalizzazione di borsa.

Come conseguenza della crisi dei mercati «si teme in particolare una interruzione dei flussi di credito verso le imprese», ma «il complesso dei dati di cui disponiamo, induce a ritenere che non vi siano al momento segnali di restrizione nè sul fronte delle quantità offerte nè su quello dei prezzi praticati».

La crisi dei mercati finanziari, secondo il presidente dell'Abi, produrrà una minore crescita dell'economia mondiale e una perdita di Pil in termini reali nel biennio 2008-2009 di circa il 3% per Stati Uniti, Europa e Italia.

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