Dopo un mese e mezzo di brutte notizie da centinaia di miliardi di dollari e di euro alla volta, o migliaia, di fallimenti crolli di Borsa e interventi di Banche centrali, una testimonianza alla Camera dei Rappresentanti, priva di effetti sui mercati e che non deprime gli indici, non fa quasi più notizia. Ma l'umiliazione di Alan Greenspan ieri alla Camera di Washington di fronte a un presidente della Commissione Controllo e riforma dell'Esecutivo che rassomiglia tanto all'attore David Tomlinson, (il padre di famiglia in Mary Poppins), resterà nella storia della grande crisi 2007/2008 come un passaggio cruciale.
Non avevamo capito, ha detto l'ex presidente della Federal Reserve, carica tenuta 18 anni, dal 1987 al gennaio 2006. "Forse perché non c'era gente abbastanza sveglia, smart enough", ha ammesso amaramente nel dibattito. La testimonianza non è costata un dollaro, salvo le spese vive. Ma è stata la prima seduta ufficiale di un lungo processo su perché e come l'America e il mondo hanno perso ben più di 10 mila miliardi di dollari, tra svalutazioni immobiliari e contraccolpi sui mercati azionari. Per colpa, in misura notevole, di Alan Greenspan.
L'umiliazione di Greenspan, 82 anni, salutato nel 2000 come il "Maestro" da un libro di Bob Weoodward, osannato come il guru dei guru, l'uomo dal magico tocco, è stata totale. Per limitare i danni, Greenspan ha parlato di "un moderno paradigma di gestione del rischio durato decenni", arrivato al capolinea l'estate scorsa, quando "l'intero edificio intellettuale è crollato". Si tratta della teoria, e dell'equazione, che avrebbe dovuto assicurare a date condizioni l'eliminazione di fatto del rischio nella vita di un titolo finanziario. Un edificio premiato con un Nobel, ha detto Greenspan ricordando implicitamente come anche a Stoccolma, in fondo, ci avessero creduto. I premi Nobel sono stati più d'uno, in realtà, e non solo il Comitato del Nobel e la Banca centrale svedese vi avevano creduto, ma l'intera Harvard business school se ne era presa il merito (vale probabilmente una rilettura, a questo proposito, l'articolo pubblicato su Il Sole24 Ore del 18 marzo 2008, a pagina 2 e dal titolo "Azzerare i rischi, l'illusione di una formula magica"). Greenspan vide giusto, e parlò più volte, sui rischi rappresentati dall'eccesso di cartolarizzazioni delle due finanziarie immobiliari semipubbliche e ora nazionalizzate, Fannie Mae e Freddie Mac. Per il resto, dal punto di vista dei controlli (un discorso a parte merita la politica monetaria, non priva di critiche), la sua gestione fu un disastro. Fede assoluta nella autoregolamentazione dei mercati. Fiducia totale nei nuovi strumenti finanziari. Mancanza di senso della Storia che, ricca di crisi finanziarie, dovrebbe insegnare il costante rischio di un loro riapparire. Totale non uso della legge del 1994, l' Home Owner Equity Protection Act, che dava esplicitamente alla Federal reserve i poteri per regolare meglio il mercato dei mutui, che della crisi è stato il detonatore e la causa chiaramente principale.
L'audizione di ieri è il preannuncio di una serie che il nuovo Congresso, dal prossimo inverno, certamente lancerà, memore della risonanza che negli anni 30 ebbe il lavoro della Commissione Pecora, creata nell'aprile del 32 dal Senato americano e attiva fino al maggio del 1934, con il compito di chiarire le cause del crollo di Borsa del 29 e mesi successivi. Prendeva il nome dal consulente che più di tutti ne resse le file, l'avvocato e giudice italo-americano Ferdinand Pecora, nato a Nicosia in Sicilia nel 1882 e morto nel 1971.
Il messaggio conclusivo di Greenspan, e che da la misura del problema che lui ha notevolmente contribuito a creare, è raggelante. "Quali che siano le nuove regole che verranno imposte, saranno poca cosa (they will pale) di fronte ai cambiamenti già evidenti oggi sui mercati. Quesi mercati per un futuro indefinito saranno assai più cauti di quanto possa imporre un nuovo regime regolatorio oggi allo studio".