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L'investitore arabo che «parla» italiano

di Gianni Dragoni

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17 ottobre 2008

Fiat, Capitalia, Eni, Juventus, Finpart, Olcese. Adesso UniCredit. E domani, chissà, forse Telecom o Finmeccanica. Oppure Eni o Enel.
È lungo, con nomi altisonanti, l'elenco delle imprese italiane in cui sono stati iniettati i petrodollari di Tripoli. Spesso si è trattato di un salvataggio, o di un puntello a situazioni di difficoltà. Il caso più rinomato e controverso è l'ingresso dello Stato libico nel 1977 nella Fiat, con il 15% del capitale ordinario, quando il gruppo torinese rischiava il collasso. Nel 1986 la Lafico (Lybian Arab Foreign Bank) cedette la partecipazione con un incasso di tre miliardi di dollari: l'Ifil degli Agnelli riacquistò il 6,67% del capitale Fiat con un esborso di circa un miliardo di dollari. La parte residua delle azioni ordinarie (8,5% circa del capitale), le azioni privilegiate e di risparmio furono collocate sul mercato da un consorzio promosso da Deutsche Bank e Mediobanca.
Dopo il 2000 si sono intensificate le incursioni di Tripoli. La Lafico è tornata nel capitale Fiat, comprando il 2%, poi ha comprato il 3% di Capitalia e nel 2003 è salita al 5% nell'istituto guidato da Cesare Geronzi (dal 2007 presidente di Mediobanca), con il quale i rapporti erano buoni: l'ex Banca di Roma tenne una riunione del cda a Tripoli. La presenza in Capitalia si è diluita nella fusione con UniCredit. L'acquisto fino al 4,23% annunciato ieri è un ritorno alla vecchia partecipazione, in un gruppo molto più grande. L'operazione è considerata un corollario del trattato di riappacificazione firmato a fine agosto da Silvio Berlusconi a Tripoli.
Lafico ha acquisito anche azioni di aziende tessili finite in dissesto, come Finpart (8,95%) e Olcese (21%). Nelle ultime settimane il fondo sovrano di Tripoli ha manifestato interesse ad entrare in Telecom Italia. Dal 2001 i libici detengono il 7,5% nella Juventus, la squadra di calcio controllata dalla famiglia Agnelli.
«Non credo che la Juventus sia un buon investimento, stiamo perdendo soldi», disse il 7 dicembre 2006 Saif Al Islam Gheddafi, figlio del leader libico, dopo un incontro con Paolo Scaroni dell'Eni. «Per noi ha più senso investire in Eni e Finmeccanica». Chissà che queste non siano le prossime prede.

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