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Manovre fiscali per ripartire

di Marco Niada

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16 ottobre 2008


Le misure prese dai Governi occidentali hanno evitato il crack del sistema finanziario mondiale. Ma il tempo stringe e bisogna tradurre le intenzioni in fatti il più rapidamente possibile per evitare un'acuta recessione che rischia di annullare la ricapitalizzazione delle banche e l'iniezione di liquidità nel sistema. George Magnus, 59 anni, consigliere anziano di Ubs, è una delle voci più ascoltate dalla City. Specie dal 2005, quando aveva previsto un nuovo shock petrolifero e, successivamente, quando ha visto arrivare la nuova crisi finanziaria, sostenendo che ci trovavamo di fronte a un problema regolamentare e non di liquidità. Alcuni ironicamente notano che, se la sua stessa banca gli avesse prestato più attenzione, avrebbe forse avuto meno problemi. Magnus è noto per avere evocato a più riprese il famoso Minsky Moment, dall'economista Hyman Minsky, secondo cui il sistema finanziario può arrivare a un tale punto d'instabilità che soltanto un attacco concentrico, simultaneo e globale dei Governi può evitare il tracollo.
Possiamo dire che abbiamo evitato il baratro?
Sono felice che i Governi occidentali abbiano preso le misure necessarie, sulla falsariga del Governo britannico, evitando così il caos. In particolare la ricapitalizzazione e le garanzie sui crediti all'interbancario erano assolutamente essenziali. Forse i Governi avrebbero potuto agire prima, ma sono questioni ipotetiche. Abbiamo evitato il baratro. Fin qui le buone notizie.
E le cattive?
Beh, purtroppo sono due. Il deleveraging (il rientro dai debiti, ndr) proseguirà, costringendo le banche a cedere attività e a tirare il freno sui crediti. La gente risparmierà e consumerà molto meno. Altre banche deboli salteranno perché le garanzie date non varranno per tutti gli istituti. Poi c'è il problema delle grandi aziende che dipendono dai rifinanziamenti delle linee di credito in scadenza che nelle prossime settimane ammonteranno a 400-500 miliardi di dollari. Il sistema non si è ancora liberato dallo stress. Stiamo un poco meglio ma l'aggiustamento è in corso, anche se a ritmi meno frenetici di prima. Il consolidamento bancario è inevitabile ma bisogna anche evitare un eccesso di concentrazione, altrimenti i rischi confluiranno in poche mega-banche.
Il tempo davanti a noi stringe?
Sì, le misure devono passare attraverso le varie legislazioni nazionali prima che la liquidità entri a regime. Bisogna agire in fretta. Quanto? Diciamo che non possiamo aspettare fino a Natale.
E il rischio di una nuova Depressione? Quanto è concreto?
Escludo che ci troviamo di fronte a una prospettiva del genere. Negli anni 30 il Pil degli Stati Uniti si contrasse del 50% e la disoccupazione salì al 25 per cento. Oggi abbiamo gli strumenti per evitare un crack di quella portata. Ma rischiamo una recessione per nulla piacevole, che durerà per tutto il 2010. Se riusciamo a stabilizzare rapidamente il sistema finanziario, gli Usa potrebbero accusare un calo del Pil del 3% tra picco e fondo. Per evitare il peggio i Governi dovranno tagliare rapidamente i tassi di altri 100 punti base e il prossimo anno ci vorrà una manovra fiscale di almeno due punti percentuali del Pil con il ricorso a una serie di opere infrastrutturali per dare lavoro a chi resterà disoccupato. I progetti non mancano: dall'ambiente alle energie alternative ai lavori pubblici.
Gordon Brown dice che bisogna ripensare le regole del sistema finanziario internazionale.
Difficile dissentire. La riforma della Governance e del sistema bancario sono temi che molti chiedono a gran voce da anni. Sono questioni importanti che vanno affrontate ma che si scontravano con l'approccio unilaterale degli Stati Uniti. Ora ci sono segnali che le cose stanno cambiando.

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