Mediobanca dal Tesoro con le istituzioni, insieme con Banca d'Italia, Confindustria e Abi. All'incontro, che si è svolto nella mattinata di ieri a Roma, i vertici di Mediobanca, il presidente Cesare Geronzi e l'amministratore delegato Alberto Nagel, sono stati invitati in qualità di "esperti del sistema bancario italiano".
Un invito atipico, dato che Mediobanca era l'unica banca presente al summit, che tuttavia si può leggere come il riconoscimento di un ruolo centrale dell'istituto di Piazzetta Cuccia. Un ruolo di banca di sistema al quale probabilmente ambisce Geronzi, ma anche di realtà sana del mercato che, nel rigore della tradizione, Nagel è riuscito a preservare sfuggendo alle insidie della finanza innovativa. La sfida del nuovo corso di Mediobanca, prossima al ritorno al sistema di governance tradizionale, sarà appunto quella di dimostrare di poter essere in grado di mantenere l'equilibrio tra i due aspetti, in un momento in cui il contesto generale impone una trasformazione del sistema piena di incognite.
Mediobanca del resto è non solo l'unica banca d'affari italiana, ma anche una delle poche realtà del suo settore che non ha dovuto mettere in discussione la propria natura. Questo mentre la crisi ha falcidiato le grandi firme di Wall Street. Clamoroso il fallimento della pluricentenaria Lehman Brothers, ma anche il salvataggio di fatto da parte delle banche commerciali di nomi blasonati come Merrill Lynch e la trasformazione allo status di banca sottoposta alla vigilanza Fed dei giganti superstiti Goldman Sachs e Morgan Stanley. E questo, mentre in Europa altri istituti sono stati costretti ad aggregarsi, a ricorrere a massicce iniezioni di capitale e a ridimensionare drasticamente l'attività d'investimento.
Dalla bufera finora Mediobanca è uscita indenne. Nell'esercizio appena chiuso ha confermato gli utili record per un miliardo dell'anno prima, vantando un tier 1 dell'ordine del 10,3% e una ricca dote di liquidità in pancia. Caratteristiche che ne hanno fatto il naturale garante per l'aumento di capitale da 3 miliardi che UniCredit si è visto costretto a varare in questi giorni. Nessun altro, neppure Merrill Lynch che è co-advisor dell'operazione, ha potuto permetterselo.
Che l'audizione di ieri in Via XX Settembre si traduca in un effettivo riconoscimento di advisor del Tesoro, a questo stadio non è dato saperlo. Ma certo l'imprenditoria italiana, che è ampiamente rappresentata nell'azionariato dell'istituto, guarda a Mediobanca come a realtà in grado di svolgere ancora quel ruolo di cassa di compensazione del sistema capitalistico nazionale che l'istituto ha svolto nei primi cinquant'anni della sua storia sotto l'egida di Enrico Cuccia.
Del resto le vie imperscrutabili della globalizzazione hanno riservato uno strano destino a Mediobanca. Dapprima insediandone il primato in Italia con gli attori della sofisticata finanza anglosassone e poi lasciandole di nuovo il campo sgombro sul terreno di casa per implosione dei concorrenti. Un ritorno al passato, che forse non si limiterà alla sola governance.