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Crisi: hedge fund si difendono di fronte al Congresso Usa

di Marco Valsania

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14 novembre 2008
Il giuramento dei manager prima delle audizioni (Reuters)
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I testi delle audizioni

Sono le stelle degli hedge fund, abituati a brillare lontano da occhi indiscreti. L'anno scorso George Soros, John Paulson, Kenneth Griffin, James Simons e Philip Falcone hanno guadagnato in media oltre un miliardo di dollari grazie alle loro gesta sui mercati, guidati dai 3,7 miliardi intascati da Paulson. Ieri, per la prima volta, sono stati convocati assieme non per celebrare successi, bensì per prendere posto sul banco degli imputati del Congresso, impegnato a dare la caccia a ragioni - e responsabili - d'una bufera finanziaria che ha scosso le borse e fatto precipitare la crisi economica. E hanno cercato di difendersi dall'accusa che la loro crescente influenza, la scarsa regolamentazione, le loro strategie aggressive fondate sull'indebitamento mettano in pericolo l'intero sistema finanziario. Hanno negato di essere tra i responsabili dell'attuale débâcle. E se hanno riconosciuto la necessità di maggior trasparenza, hanno messo in guardia dal rischio di strette normative troppo robuste, che a loro avviso soffocherebbero l'innovazione finanziaria. Né hanno fatto marcia indietro su uno degli aspetti più scottanti in presenza delle ondate di perdite tra gli investitori, quello dei loro super-compensi: sono legati, hanno assicurato, alla performance.

La chiamata a testimoniare è stata di quelle che non potevano essere rifiutate: è arrivata dalla Commissione di controllo della Camera, il braccio investigativo del Parlamento americano guidato dal deputato Henry Waxman della California che ha già messo sotto torchio l'ex amministratore delegato di Lehman Brothers, Dick Fuld. E i cinque grandi gestori, dal pioniere Soros all'enfant prodige Griffin seduti fianco a fianco in una fila subito battezzata "Billionaire Row", si sono presentati con sulle spalle il peso di débâcle annunciate proprio tra gli hedge fund. La crisi sta decimando i loro ranghi: nei prossimi mesi potrebbe chiudere i battenti la metà di un esercito di fondi che gestisce 1.800 miliardi di dollari e che solo in ottobre ha visto evaporare 100 miliardi in asset. Anche se un gestore quale Paulson, che ha fatto fortuna scommettendo sul collasso immobiliare e della finanza, anche quest'anno rivendica guadagni nei suoi fondi.

Le audizioni hanno dato voce alle richieste di più stretta regolamentazione, avanzate da politici e esperti accademici. Waxman è partito all'attacco definendo gli hedge fund «di fatto non regolamentati», con le autorità che non sanno neppure quanti ne esistano e quanti asset abbiano. Anche il leader repubblicano Tom Davis, con maggior cautela, ha fustigato il settore affermando che dovrà fare i conti con la "minor tolleranza" da parte degli investitori e del governo di un «universo finanziario parallelo e senza volto che condiziona in modo imprevedibile il mercato».

Andrew Lo, del Massachusetts Institute of Technology, e David Ruder, ex chairman della Securities & Exchange Commission ora alla Nortwestern University, hanno a loro volta criticato il settore perché non rilascia sufficienti informazioni sulle proprie operazioni permettendo alle autorità di valutare i rischi. «Non ci sono i dati», ha detto Lo, che dirige il Laboratory for Financial Engineering. E ha continuato: «Quando gli hedge diventano troppo grandi per lasciarli fallire, pongono un problema per il sistema finanziario». Il docente del Mit ha proposto che i fondi siano obbligati a depositare quantomeno rapporti confidenziali presso le autorità con le loro posizioni in dettaglio. Al momento, gli hedge fund possono registrarsi volontariamente con la Sec. Solo chi tratta commodities ha obblighi di tenere informata la Commodities Futures Trading Commission. Norme impongono inoltre che questi fondi possano rivolgersi solo a investitori sofisticati. Ma il settore ha finora evitato significativi giri di vite, anzitutto della Sec.

I deputati si sono scagliati anche contro le basse imposte pagate da molti re della finanza. I manager di fondi, ha accusato il Congresso, possono infatti avvantaggiarsi di aliquote sui capital gain, il 15%, invece di pagare quelle sul reddito, fino al 35%, per almeno parte della paga, il carried interest, ovvero la percentuale di profitti del fondo che spetta loro. In generale la tassa sui capital gain riguarda investimenti della durata di oltre un anno.

I grandi gestori ieri non sono stati impermeabili alle critiche. Soros, forte del suo Soros Fund Management, ha messo in chiaro che, tra le cause della crisi, c'è «l'eccessiva deregolamentazione» (vedi uno stralcio del suo intervento pubblicata sotto). Anche se ha invitato i parlamentari a non far oscillare troppo il pendolo nella direzione opposta. «Esiste il pericolo di nuove regole punitive», ha detto. James Simons, di Renaissance Technology, ha a sua volta criticato le carenze delle autorità nei controlli, ma anzitutto sulle banche d'investimento di Wall Street. E ha lanciato un duro j'accuse sul comportamento delle grandi agenzie di rating nel valutare i titoli poi crollati. Per gli hedge fund ha accettato l'idea d'una maggior trasparenza, ma ha chiesto che eventuale documentazione sia affidata esclusivamente alla Fed di New York. Griffin ha incalzato: chiedere agli hedge di rivelare pubblicamente le posizioni sarebbe come chiedere alla Coca-Cola di svelare la formula della sua bibita.

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