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Dieci miliardi da investire con deficit al 3,5%

di Luigi Lazzi Gazzini

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14 NOVEMBRE 2008

Rispettare rigorosamente le regole che il patto di stabilità detta per gli equilibri di bilancio. Sì, ma evitando di erigerle a feticcio per tener conto della recessione incombente. Sono queste, più o meno, le posizioni che si raccolgono in reazione all'intervista dell'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera, al Sole 24 Ore di ieri. Passera suggerisce che siano eventualmente concordati, con la Ue, limiti al disavanzo superiori all'attuale 3% del Pil, quanto meno per la durata della crisi. Anche perché, in caso di recessione, i deficit esploderebbero comunque.

Proprio ieri, la Bce ha richiamato invece tutti all'ordine: Maastricht e Patto di stabilità dovranno essere applicati integralmente. Il ministro Giulio Tremonti ha più volte avvertito di non avere alcuna intenzione di sfondare i limiti di disavanzo. Molti gli imprenditori e i banchieri che hanno espresso, sulla questione, pareri diversi.

Il Patto di stabilità riformato ammette il superamento del 3% nel rapporto tra deficit e Pil in tempo di crisi, ma per brevi periodi. Insomma una maggior flessibilità, ma come conseguenza della recessione, non per effetto di misure in disavanzo per sostenere l'economia.
Il deficit (indebitamento) dell'Italia, secondo la Commissione Ue e stando a vari conteggi, rimarrebbe nel 2009 anno di massimo impatto della crisi sotto il 3%, avvicinandosi però a quel valore. Si tratta di ipotesi, come Tremonti ha detto alla Camera, che sono soggette ad «altissima variabilità». Gli spazi di intervento sul saldo non sono ampi: per raggiungere dieci miliardi occorrerebbe spingere il deficit 2009 verso il 3,5% del Pil nell'ipotesi in cui tendesse spontaneamente al 2,7-2,8 per cento. Il maggior disavanzo, anche se temporaneo, si aggiungerebbe al debito in via permanente. Un altro paio di miliardi potrebbero venire dai nuovi eventuali incassi (massimo, due miliardi l'anno) degli interventi pubblici a garanzia delle banche e relative commissioni e cedole (si veda ancora Il Sole 24 Ore di ieri).

Passera raccomanda invece un intervento da 50 miliardi l'anno «per alcuni anni, investiti bene», cioè sulle infrastrutture. Un impegno massiccio, ma che potrebbe evitare guai maggiori: quelli dell'immobilismo. Il banchiere non lo dice, ma è evidente che non potrebbe trattarsi di una spesa pubblica diretta: gli effetti sui saldi e sul debito sarebbero enormi. La spesa per investimenti quasi raddoppierebbe. Al contrario, nell'aggiornamento al Dpef di settembre il conto capitale è dato in calo in valor assoluto e ancor più, naturalmente, in rapporto col Pil. Un impegno come quello evocato da Passera dovrebbe far capo a enti esterni alle Amministrazioni, come la Cassa depositi e prestiti che potrebbe attivare somme ingenti agendo attraverso il capitale privato ed evitando accuratamente di farlo ricadere sul conto delle Amministrazioni. I vecchi limiti di impegno, che accollavano per decenni allo Stato rimborsi e interessi di mutui contratti da soggetti terzi, sembrano invece superati.

Il fatto è che, qualunque sia l'intervento, il debito pubblico dovrà rimanere indenne. Quasi ogni giorno, Tremonti ricorda che è il debito a rappresentare il vero vincolo. Recessione e disavanzi crescenti ne peggiorano ulteriormente le prospettive. Un sommario conteggio fa temere che, in base a dati oggi ritenuti plausibili, il debito delle Amministrazioni si stabilizzi sul 105% del Pil dal 2009 al 2011. Ancora a settembre, era visto al 98,4% nel 2011.

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