Il futuro di Fincantieri va verso il mercato e per l'Italia si riapre la stagione delle privatizzazioni. Fintecna, la holding pubblica che controlla il 98% della società di cantieristica navale, sta cercando un advisor che studi l'apertura del capitale. Dopo Tirrenia, la società di traghetti anch'essa di proprietà di Fintecna che verrà ceduta con una trattativa diretta, adesso è la volta del gruppo di Trieste che costruisce super-navi.
I due principali progetti di privatizzazione rimasti nel cassetto del precedente Governo ripartono: secondo indiscrezioni di mercato raccolte, un mese e mezzo fa è stato avviato il processo per la cessione di parte del capitale di Fincantieri. La holding azionista ha infatti inviato a un gruppo di banche una sollecitazione ad effettuare proposte per la «valorizzazione strategica» della controllata. Due le possibili strade: la quotazione in Borsa o la vendita ai privati. Anche se non sono escluse altre ipotesi visto che in passato Giuseppe Bono, il manager 64enne che da sei anni è amministratore delegato di Fincantieri, aveva anche accarezzato il disegno di una fusione con il big norvegese Aker Yards (peraltro già quotato in Borsa), il più grande costruttore di navi in Europa.
Sul dossier Fintecna, che era stato annunciato dal Governo Prodi nell'estate 2007, ci sono le principali investment bank italiane e straniere, tra cui Mediobanca, Credit Suisse, Morgan Stanley e Merrill Lynch. Ora spetta a Fintecna decidere a chi affidare un mandato di avdisoring: una risposta dovrebbe arrivare a breve termine. Nella lettera inviata, secondo quanto risulta, non è stato indicato in che modo effettuare la valorizzazione, in modo da lasciare alle banche il più ampio ventaglio di possibilità. Certo, l'avvio del processo avviene proprio nel momento in cui la strada della Borsa appare in salita, date le condizioni di mercato (mesi fa Bono aveva auspicato una possibile Ipo nella primavera del 2009). L'altro ostacolo da superare è il «no» alla quotazione dei sindacati (in particolare la Cgil, mentre le altre sigle sarebbero più favorevoli): la Fiom-Cgil alcuni giorni fa ha dichiarato che il gruppo avrebbe ammesso che l'ipotesi Borsa è ormai tramontata, ma l'azienda interpellata non ha confermato la notizia e anzi ha ricordato come di recente il Governo abbia ribadito, inserendola nel Dpef, la volontà di una quotazione di Fincantieri .
Lo sbarco in Borsa è tra l'altro una parte essenziale del piano industriale da 800 milioni dell'azienda: dall'Ipo (tramite aumento di capitale) Fincantieri punta a raccogliere la metà delle risorse necessarie, da destinare agli investimenti per il rinnovo dei cantieri e all'espansione internazionale. La società ha chiuso il primo semestre con una crescita dei ricavi di oltre il 9% a 1,37 miliardi. A causa del super-euro, dell'impennata delle materie prime (acciaio e petrolio) e dell'impatto economico derivante dal rinnovo del contratto collettivo, la redditività non ha tenuto il passo: il margine operativo lordo è risultato in calo a 74,6 milioni (da 103,2 milioni del 2007), mentre l'utile netto consolidato si è dimezzato a 15,1 milioni (37 milioni nel 2007). Gli ordini sono diminuiti a circa 1,43 miliardi (contro i 2,77 miliardi del primo semestre del 2007), in un contesto di mercato in contrazione. Il portafoglio ordini è infine arrivato a 11,6 miliardi. A settembre Bono aveva anticipato che il 2008 si chiuderà con un fatturato intorno a 3 miliardi, il più alto nella storia dell'azienda e ancora in utile nonostante gli effetti della crisi.