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Il buco nel fondo pensione che affonda General Motors

di Fabio Pavesi

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14 Novembre 2008

Tutta colpa dell'incipiente recessione economica e della crisi del credito? Queste motivazioni per spiegare (o giustificare) il collasso di General Motors hanno il sapore della facile scorciatoia. A spingere sull'orlo del baratro il colosso dell'auto più che la congiuntura avversa è stata, nei fatti, la lenta ma costante opera di erosione dei conti dell'azienda da parte del suo enorme fondo pensione. Una mina vagante che perturba i bilanci del gruppo da oltre un decennio e che ora rischia di presentare il conto. Tutto in una volta. Qualcuno obietterà che Gm è corsa ai ripari l'autunno scorso. Quell'accordo con i sindacati per conferire la gestione a Veba, un trust collettivo, libererà nel 2010 Wagoner dalle preoccupazioni legate all'onerosissimo fondo dei 250mila dipendenti sparsi per il mondo.
Ma la soluzione rischia di arrivare troppo tardi. Senza un'iniezione di liquidità per un cifra vicina ai 15 miliardi di dollari Gm non arriverà a gennaio del 2009. E non perché le banche siano diventate avare nei confronti di Gm, ma perché l'aver trascinato la zavorra del fondo per così lungo tempo è stato esiziale.
Vediamo i numeri. Il fondo che paga pensioni, assistenza sanitaria e benefit ha chiuso il 2007 con un deficit per 39 miliardi di dollari, una cifra enorme. Il valore di mercato dell'attivo del fondo a livello globale è di poco più di 130 miliardi, ma le obbligazioni emesse per sostenerlo ammontano a 171 miliardi. Quelle obbligazioni ovviamente sono debiti che prima o poi andranno onorati. E questo era il quadro a fine 2007. Per il 2008 il rischio che quell'attivo si sia ridotto è molto più che una certezza. Non esistono dati trasparenti sulle gestioni previdenziali, ma non si va molto lontano dal vero se si cerca di simulare l'andamento di quella enorme massa di denaro sui mercati. A fine 2007 gli oltre 100 miliardi erano investiti (per la parte pensionistica Usa del gruppo) per il 26% in azioni mentre per il resto del mondo la quota di titoli azionari era addirittura del 62 per cento. Un buon 9% del paniere ha continuato allegramente a comprare azioni delle società immobiliari. Un atteggiamento disinvolto, dato che la bolla del mattone era in piena esplosione. Tanta aggressività da parte dei gestori non deve aver fatto bene al patrimonio che deve finanziare pensioni in essere e future. Quella quota complessiva di quasi 40 miliardi investiti sulle Borse nel drammatico 2008 si sarà ridotta della metà con un ulteriore passivo di 20 miliardi di dollari.
Certo si potrebbe obiettare che queste sono perdite "virtuali": il fondo ha avuto un rendimento anche del 7% annuo nel recente passato e ora le ingenti perdite del 2008 si compenseranno con i guadagni passati.
Ma è una magra consolazione. Quel che conta e che sta decidendo i destini di Gm è la zavorra fuori controllo del "Welfare casalingo" del colosso di Detroit. A fine 2007, al netto della crisi dei mutui, delle Borse, della recessione ancora lontana, i debiti contratti per finanziare pensioni e piani assitenza sanitaria sfioravano i 59 miliardi di dollari, quasi due volte i debiti con le banche a lungo termine. Non solo. Il fondo pensione è costato negli ultimi 14 anni ai bilanci della casa americana la bellezza di 98 miliardi di dollari, al ritmo di 7 miliardi di uscite l'anno. E qual è stata la redditività industriale di Gm nello stesso periodo? Quasi sempre più bassa del costo del fondo pensione. Con un paradosso: più che lavorare per costruire automobili, Wagoner ha faticato tanti anni per erogare pensioni. E ora paga quel paradosso.
fabio.pavesi@ilsole24ore.com

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