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Microfinanza, la solidarietà
è business e resiste alla crisi

di Andrea Franceschi

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18 novembre 2008
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I poveri sono bonsai: storie di microfinanza da tutto il mondo

Fa più rumore una foresta che cade di un albero che cresce. La microfinanza cresce, e tanto. Anche in questa fase difficile per l'economia e la finanza mondiali. «Diversi studi hanno dimostrato come il settore sia anticiclico. Cresce soprattutto nei periodi di crisi» spiega Fabio Malanchini di Microfinanza, una delle società più attive in questo campo in Italia. «È successo in Asia negli anni della recessione giapponese, ma anche in Messico dopo lo scoppio della bolla finanziaria della new economy». Questo ovviamente non significa che sia immune alla crisi. La restrizione del credito riduce inevitabilmente gli investimenti privati. Soprattutto se si tratta di gente come Morgan Stanley, Abn Amro o il fondo di private equity Blackstone (tanto per fare qualche nome di società che ha investito nella microfinanza) che, come la maggioranza delle grandi banche deve fare i conti con problemi di liquidità. «Ma per il momento la quota di fondi privati è ancora minoritaria rispetto a quelli pubblici». Per questo l'impatto del credit crunch è decisamente limitato.

E il business è fiorente. Lo dimostrano le testimonianze di chi lavora nel settore. Ma soprattutto i numeri. Il volume totale degli investimenti erogati in tutto il mondo è passato da 4 miliardi di dollari del 2001 ai 25 miliardi del 2006. E in questi ultimi anni sta aumentando sempre di più la quota di soggetti che riescono ad operare nel settore in maniera sostenibile, riuscendo a coprire i costi e guadagnandoci. Il Roe (return of investment) si sta dimostrando straordinariamente alto. Per questo tanti privati, banche, fondi e finanziarie ci stanno mettendo soldi. E sempre di più ce ne metteranno in futuro. Secondo una stima di Deutsche Bank il volume degli investimenti nel settore salirà dai due miliardi del 2006 ai 20 miliardi del 2015.

La microfinanza è una realtà in crescita anche in Italia. Nel nostro Paese, secondo l'ultima rilevazione della Banca d'Italia, il 14% delle famiglie non ha accesso ai servizi finanziari. In questi ultimi cinque anni le associazioni hanno erogato 75 milioni di euro di finanziamenti soprattutto a piccole imprese e immigrati. Circa 8000 persone si sono rivolte ai soggetti che aderiscono a Ritmi, la Rete Italiana di Microfinanza. Il network, creato all'inizio del 2008, ha presentato microfinanza-italia.org, il primo portale italiano della microfinanza. Nel nostro paese è ancora una realtà ancora piccola ma in costante evoluzione. Soffre però dell'assenza di una regolamentazione, come invece avviene in altri Paesi europei come la Francia. Questo significa che le operazioni di micricredito debbano per forza di cose coinvolgere più soggetti: le banche che erogano materialmente il credito fornendo materialmente servizi di sportello, un soggetto pubblico o privato (come una fondazione) che stanzia un fondo di garanzia a copertura delle eventuali insolvenze e le organizzazioni ed altri enti no profit che gestiscono tutta la fase di consulenza e supporto al cliente.

Rendere bancabili i non bancabili. Questa è la filosofia della microfinanza, un termine che comprende tutta una serie di servizi assicurativi e creditizi destinati alle fasce più povere della popolazione. È l'evoluzione del microcredito, idea del bengalese Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace 2006. Nel 1976 l'economista fondò la Grameen Bank, prima banca al mondo ad effettuare prestiti, di piccole entità, ai più poveri tra i poveri. Il criterio per fare credito non è la solvibilità ma la fiducia. A garantire i prestiti dei gruppi di solidarietà, piccoli collettivi, che hanno la responsabilità solidale per il rimborso. Le percentuali di prestiti rimborsati è molto alta. L'idea funziona e il microcredito fa proseliti in tutto il mondo. In questi ultimi dieci anni è cresciuto diventando un business fiorente, capace di attrarre grossi capitali. Anche in Italia esiste da una decina d'anni la Banca Etica.

Storie come quella della messicana Compartamos dimostrano quanto sia breve il passo tra solidarietà e affari. Nata nel 1990 come organizzazione non governativa attiva nel microcredito. Nel 2000 si trasforma in società finanziaria. Due anni dopo emette bond per il valore di 70 milioni di dollari sul mercato messicano. Nel 2006 diventa istituto di credito Banco Compartamos. Nel 2007 si quota alla borsa messicana. E l'Ipo sul 30% delle sue azioni è un vero successo: la domanda supera 13 volte l'offerta. Da un investimento di 6 milioni di dollari la società ne ottiene 450. In otto anni il ritorno per gli investitori è stato del 100% circa all'anno.

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