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Passera: «Un piano da 50 miliardi per l'Italia»

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Giovedí 13 Novembre 2008

Sono giorni di passione per Intesa Sanpaolo. Dopo la diffusione della trimestrale, il titolo ha perso in Borsa il 22,56 per cento: solo ieri il 6,86. Ma sul volto di Corrado Passera non si legge alcun segno di preoccupazione. «I risultati sono buoni, grazie all'impegno di tutti. I confronti internazionali su liquidità, profilo di rischio e leverage ci premiano. Oggi Standard & Poor's ci ha confermato "AA-" con outlook positivo che è il più alto tra le banche italiane». Il mercato non vi premia affatto. Ha mal digerito il dimezzamento dell'utile nei nove mesi, nonostante il dato "normalizzato" e depurato da attività straordinarie segni un aumento del 13 per cento. «Il nostro conto economico è solido», ribatte l'amministratore delegato.

«Tra i componenti positivi sono ovviamente diminuiti i proventi finanziari - spiega Passera - mentre sull'altro lato sono aumentati gli accantonamenti a fondo rischi per tenere conto del ciclo economico. Gli interessi sono in forte crescita e i costi sotto controllo». Gli azionisti, però, rimarranno all'asciutto, senza dividendi. «Dopo due anni di dividendi straordinari e dopo il peggioramento dello scenario abbiamo deciso di rafforzare il patrimonio e crediamo sia nell'interesse di tutti gli azionisti». Ma non gli darete proprio niente a questi poveri azionisti? Un dividendo in azioni, per esempio? «Tutto è ancora possibile prima dell'assemblea. Abbiamo solo voluto garantire che fin da subito tutti i coefficienti fossero ulteriormente rafforzati. È una scelta di prudenza che verrà premiata». È vero che la fusione vi ha fatto perdere molti depositi? «No, i depositi sono aumentati negli ultimi dodici mesi dell'11 per cento ed è cresciuta dello 0,6 per cento la nostra quota di mercato dei depositi a vista in Italia».

Tra lei e Pietro Modiano, il direttore generale, il divorzio ormai è consumato. «In banca stiamo lavorando al prossimo piano di impresa e ci sono divergenze che stiamo approfondendo sull'impostazione organizzativa per rafforzare la Banca dei Territori nella prossima fase di sviluppo». E all'ultimo consiglio, il "caso Modiano" ha fatto esplodere le divisioni fra i torinesi e i milanesi. «Non è stato nemmeno sollevato il tema di Modiano». Quello di Zaleski, azionista e debitore sì, però. Avete trattato meglio lui, di tante piccole e medie imprese. «Finanziamenti del tipo di quelli fatti a Zaleski sono una minima quota del nostro portafoglio e non tolgono risorse a nessun altro tipo di impiego. Risalgono agli anni dell'eccesso di liquidità e in quel contesto vanno inquadrati. Partecipiamo al progetto di ristrutturazione del credito di Zaleski perché siamo convinti sia nell'interesse di tutti, così come abbiamo partecipato a tutti i piani di ristrutturazione seri che ci sono stati proposti in questi anni: centinaia di casi soprattutto di aziende medio piccole, anche se sui giornali naturalmente vanno solo quelle famose». Sarà, ma credo che Zaleski di posti di lavoro ne abbia creati pochi, forse quello della sua segretaria…

L'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo considera efficace la rete di emergenza che il Governo ha steso a difesa degli istituti di credito. «Anche se nessuno avrà bisogno di quel tipo di intervento, a differenza di quanto è successo in altri Paesi». Nessuno, nessuno? «Credo proprio di no, il nostro sistema è sano». E allora perché dovrebbe essere necessario l'ingresso pubblico nel capitale? «Non è indispensabile, ma potrebbe essere molto utile realizzare un'operazione del tipo di quella francese sia per evitare distorsioni competitive sia per dare più forza alle nostre banche e trasmetterla così all'economia reale. Tremonti e Grilli stanno lavorando per questo obiettivo e non certo per entrare nella governance delle banche». Con quali strumenti? «La mia preferenza andrebbe a un prestito subordinato, perpetuo, richiamabile dall'emittente e rimborsabile in contanti». La politica non condizionerà le vostre scelte? «Mi fido di quello che il Governo ci ha più volte confermato».

Le banche, d'altronde «hanno i loro problemi, ma il vero grande rischio è un altro». Quale? «Quello di cadere dalla recessione - che nel 2009 ci colpirà tutti - alla depressione. Per scongiurarlo abbiamo una sola strada e poco tempo. Dobbiamo prendere urgentemente misure che abbiano impatto sia congiunturale che strutturale. Dobbiamo dar fiato all'economia nel breve, cercando di risolvere al contempo alcuni dei nostri problemi di competitività e di produttività. Per questo penso a un grande piano di accelerazione di infrastrutture (strade, porti, energia, reti di telecomunicazioni, ferrovie veloci e ferrovie regionali) e a un premio fiscale alle aziende che investono in innovazione e tecnologie».

Scusi, dottor Passera, ma siamo il terzo Paese più indebitato al mondo. «Non si può non tener conto del debito pubblico: certamente dovremo concordare il piano di rilancio con l'Europa e utilizzare al meglio le istituzioni finanziarie comunitarie come la Bei. Ma d'altro canto dobbiamo evitare il rischio di una recessione molto grave. I debiti eccessivi accumulati nel passato non devono impedirci di costruire il nostro futuro. Cinquanta miliardi all'anno, per alcuni anni, investiti bene, possono evitarci problemi dieci volte più grandi». Se lo dice lei… sono sempre centomila miliardi di lire del vecchio conio. «Ricordandoci che il costo del non fare, che non va in contabilità, è spesso più alto del costo del fare, che va in contabilità. Consideriamo solo le infrastrutture, nel 2001 ne avevamo programmate per 126 miliardi, a oggi ne abbiamo realizzate e messe in cantiere solo poco più di 20. Nelle opere pubbliche investiamo stabilmente meno dei nostri concorrenti europei e siamo finiti in fondo a tutte le classifiche sui livelli infrastrutturali e questo ha certamente contribuito alla nostra minore crescita».

  CONTINUA ...»

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