Diciassettesimo piano di un edificio circolare, a forma di rossetto. Non a caso, a Manhattan, lo chiamano «Lipstick Building». Al centro un cervellone elettronico più adatto a un film tipo «2001 Odissea nello spazio» che a una società d'investimento. Intorno al mega-computer gli esperti informatici. Più in là, sempre a formare un cerchio, gli operatori di Borsa. Alla regia, però, non c'era Kubrick, ma Bernard Madoff. L'ufficio newyorkese della sua società di brokeraggio per anni è stato un mito. Massimo Monti, socio di Rasini &C, qualche anno fa ha avuto la "fortuna" di entrarci. E, soprattutto, ha avuto la fortuna ancora maggiore di intuire che qualcosa non andava. Che c'era il trucco. Così oggi, dopo il crack più colossale della storia, Monti racconta al Sole-24 Ore quel viaggio. E lo fa con serenità: dopo avere incontrato Madoff ha infatti deciso di disinvestire dai suoi fondi.
È la fine degli anni '90. Monti si reca nel «Lipstick Building». «Madoff era un grosso broker e uno dei maggiori operatori sul mercato dei blocchi ricorda . A quei tempi tutti erano convinti che la sua strategia d'investimento riuscisse ad avere ottime performance perché approfittava del grande flusso di informazioni che arrivavano dalla sua attività di broker». Insomma: tutti credevano che Madoff avesse informazioni di prima mano grazie alla sua attività di broker e che riuscisse a trasformare queste informazioni in una strategia d'investimento imbattibile grazie al computer più sofisticato del mondo.
E infatti al centro dell'ufficio di Madoff la prima cosa che Monti nota è proprio il mega-computer: una stanza intera per un cervellone elettronico. «Intorno al computer ricorda c'erano tanti addetti informatici e, più in là, i trader. Tutti insieme formavano cerchi ellittici. Ogni singolo operatore aveva un paniere di 10-15 azioni su cui lavorare e, appoggiandosi all'ingegnere di macchina che effettuava tutte le simulazioni, gestiva il portafoglio di azioni migliorando i ritorni con le opzioni». L'assunto su cui la fama di Madoff si basava, dunque, era che il super-computer e l'attività di brokeraggio potessero essere messe al servizio dell'asset management. Lui credevano in tanti – riusciva a guadagnare sempre perché era in grado di calcolare i prezzi di opzioni call e put (utilizzate nella sua strategia «plit strike conversion») come nessun altro.
Ma già allora era chiaro che qualcosa non andasse. «Innanzitutto non mi ha convinto il fatto che Madoff non prendesse commissioni spiega Monti –. Questo, quantomeno, segnalava una commistione tra la sua attività di broker e quella di gestore. Inoltre non mi è piaciuto l'incontro che ho fatto con lo stesso Madoff: è durato pochi minuti ed è stato troppo generico». Ma quello che più ha dissuaso Monti dall'investimento è stata la due diligence: «Per investire in qualunque fondo un gestore deve rispondere a un lungo questionario – afferma –. Ebbene: i fondi di Madoff non soddisfacevano neppure la prima pagina di quel questionario».
My.L.