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Eni, la Libia potrà arrivare al 10% del capitale

di Giuseppe Oddo

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7 dicembre 2008

Il prossimo ingresso della Libia nell'Eni con una quota di capitale rilevante è stato concordato con il Governo italiano e avverrà quando le condizioni della Borsa lo consentiranno. Come ha dichiarato al «Sole-24 Ore» l'ambasciatore di Tripoli a Roma, Hafed Gaddur, l'obiettivo del Libyan Energy Fund, il fondo sovrano che acquisirà la partecipazione sul mercato, è di arrivare fino al 10% del gruppo.

L'operazione, che è una ricaduta dello storico patto di amicizia sottoscritto in agosto tra i due Paesi, dovrebbe avvenire in tre fasi. In una prima fase sarà rastrellato fino al 5% del capitale, in un secondo momento la partecipazione dovrebbe essere accresciuta all'8% e in una fase conclusiva, ancora da verificare, la quota dovrebbe essere ulteriomente aumentata al 10 per cento. A questo punto la Libia sarà il secondo azionista del "cane a sei zampe", dopo lo Stato italiano, che ne possiede il 30% ed esercita sul gruppo una serie di poteri speciali attraverso il ministero dell'Economia guidato da Giulio Tremonti e quello dello Sviluppo.

L'operazione, che ai prezzi attuali di Borsa potrebbe venire a costare oltre 6 miliardi di euro, nell'ipotesi di una partecipazione del 10%, si prospetta vantaggiosa per entrambe le parti. La Libia rafforza i legami con un'azienda che estrae già nel Paese 800mila barili equivalenti di petrolio al giorno (di cui 300mila di esclusivo utilizzo dell'Eni) e investe parte dell'ingente liquidità accumulata in questi anni con la vendita di greggio in una delle più redditizie imprese industriali italiane. Dal canto suo l'Eni consolida i rapporti con un Paese in cui è presente fin dalla fine degli anni '50 con attività di grande valore strategico. La Libia rappresenta per la compagnia petrolifera italiana il primo Paese di produzione su scala mondiale con investimenti, in prospettiva, stimati sui 15 miliardi di euro. Circa un anno fa l'Eni ha concluso un accordo strategico con la società di Stato libica Noc, che le ha consentito di prolungare fino al 2042 la durata dei suoi titoli minerari per l'estrazione di petrolio nel Paese e fino al 2047 quelli per l'estrazione di gas. Proprio nel settore del gas, la Libia è ormai uno dei principali fornitori dell'Italia. Attraverso il Greenstream, il gasdotto sottomarino costruito dall'Eni, affluiscono nel nostro Paese da Tripoli 8 miliardi di metri cubi di metano l'anno destinati per la maggior parte alla produzione di energia elettrica.

Tra i commenti politici di giornata sulla manifestazione d'interesse della Libia vanno registrati quelli di Bruno Tabacci, dell'Unione di Centro, del deputato della Lega Claudio D'Amico e del leader IdV Antonio Di Pietro. Tabacci considera positivo l'interesse dei fondi sovrani per le aziende italiane e ritiene che forme di collaborazione con Paesi dell'area del Mediterraneo siano auspicabili. D'Amico, della commissione Bilancio, sostiene invece che gli «affari si possono fare solo con chi rispetta i patti» e pretende che la Libia «rispetti gli accordi sottoscritti per il blocco delle partenze dei clandestini diretti verso il nostro Paese». Se i libici vogliono entrare in affari con l'Italia, conclude D'Amico «è opportuno che facciano un passo in avanti, bloccando fin da adesso i flussi di immigrati clandestini». Per Di Pietro l'ingresso dei libici va bene «se le regole sono chiare, ma non possiamo permettere che Stati esteri possano raggiungere il controllo dell'Eni».

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