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Parmalat e Madoff: il risparmio italiano tradito due volte

di Orazio Carabini

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19 dicembre 2008

Bernard Madoff è nato il 29 aprile 1938, poco più di sei mesi prima di Calisto Tanzi (17 novembre). Il finanziere americano ha resistito fino a 70 anni prima di essere costretto a confessare la sua truffa da 50 miliardi di dollari. Al confronto i 14 miliardi di euro fatti sparire dall'industriale emiliano sembrano pochi, ironizzava il Financial Times confrontando le dimensioni delle due truffe. Da ieri però i commentatori di tutto il mondo hanno altro su cui ironizzare.

I giudici del Tribunale di Milano, che dovevano valutare il reato di aggiotaggio, hanno sentenziato che solo Tanzi è colpevole, condannandolo a 10 anni. E hanno scagionato gli altri imputati: dirigenti della Bank of America, gli amministratori indipendenti della Parmalat, un manager della società in Venezuela. Insomma Tanzi è l'unico responsabile e la tesi accusatoria della Procura di Milano è stata smontata. Ci sono voluti cinque anni per arrivare alla prima sentenza sul crack della società di Collecchio. Altre ne seguiranno, a Milano e a Parma. Ma l'inizio non promette nulla di buono. Pensare che Tanzi da solo abbia potuto orchestrare tutte le operazioni finanziarie che hanno portato al dissesto di Parmalat è abbastanza curioso. E soltanto le motivazioni della sentenza chiariranno in che misura le assoluzioni dipendono dalle nuove norme sulla prescrizione introdotte con la legge Cirielli.

Tutto ciò che si è visto finora nelle aule di giustizia non fa ben sperare. Tempi lunghi, anzi lunghissimi. E decisioni favorevoli alle banche, dal risarcimento a Citi cui è stato condannato il commissario della nuova Parmalat, Enrico Bondi, negli Stati Uniti all'assoluzione dei dirigenti di Bank of America nel processo per aggiotaggio con tanto di risarcimento alla banca. Più una serie di patteggiamenti che danno sempre l'impressione della "sanatoria".

Negli Stati Uniti il sistema, che ha dimostrato di non avere una capacità di prevenzione delle truffe più sofisticata di quella italiana, reagisce rapidamente ad abusi come quelli commessi da Madoff e dai suoi compari. Lì almeno la giustizia fa il suo corso in pochi mesi ed è poco incline a considerare con benevolenza la posizione degli imputati in questo tipo di reati: il caso Enron è stato esemplare a questo proposito.

Se chi imbroglia non è perseguito con la dovuta severità, la fiducia nei mercati finanziari vacilla. Le migliaia di risparmiatori truffati e i milioni di italiani che avrebbero potuto esserlo, esigono procedimenti tempestivi e sentenze appropriate. Per Parmalat come per Cirio. Altrimenti il timore di essere imbrogliati prende il sopravvento e la sfiducia tiene il risparmio lontano dai titoli rischiosi.

Soprattutto ora. Con un'Italia è spaventata e sfiduciata, che giudica insufficiente il proprio reddito, che fa fatica a risparmiare e che si rifugia nella liquidità. Ma anche un'Italia relativamente ricca dove le famiglie, nella media, hanno un patrimonio, mobiliare e soprattutto immobiliare, superiore a quello rilevato negli altri grandi Paesi occidentali.

È l'Italia che emerge dal Rapporto sul risparmio Bnl-Centro Einaudi e dal Bollettino statistico della Banca d'Italia dedicato alla ricchezza delle famiglie. Due preziose pubblicazioni che permettono di fare un primo, parziale consuntivo degli effetti della crisi finanziaria sul bilancio dei risparmiatori.

Tra i due dati c'è una contraddizione solo apparente che ha due spiegazioni. La prima è la concentrazione della ricchezza: quasi il 45% delle attività reali e finanziarie, al netto dei debiti, è nelle mani del 10% delle famiglie più ricche, mentre il 50% più povero possiede solo il 10%. I 360mila euro per famiglia calcolati dalla Banca d'Italia son dunque una media molto "trilussiana" (se Tizio mangia un pollo e Caio non mangia hanno mangiato mezzo pollo a testa): questo cuscinetto di sicurezza non è distribuito equamente tra la popolazione e i tanti che non ne dispongono soffrono molto gli effetti della crisi.

In secondo luogo sulla psicologia delle famiglie incide di più il flusso annuo di reddito che non lo stock di ricchezza accumulato. Se si arresta la crescita del reddito, si ha una maggiore percezione di impoverimento. E l'ansia aumenta se alla frenata del reddito si accompagna una flessione del mercato finanziario e immobiliare che riduce il valore della ricchezza.

In questa Italia sfiduciata succede che il 15% degli intervistati da BnlCentro Einaudi si sia dovuto indebitare, che il 41% abbia avuto difficoltà a far fronte a pagamenti di varia natura. E che, di conseguenza, la percentuale di coloro che non riescono a risparmiare sia passata da 51 a 69. Non c'è da stupirsi, dunque, se la gestione del risparmio è stata indirizzata verso binari di maggiore prudenza, come emerge sia dall'indagine campionaria Bnl Centro Einaudi sia dalle statistiche della Banca d'Italia. La priorità per le famiglie italiane è sempre più la conservazione del capitale, minacciata dalla volatilità di molti strumenti, dalle truffe e dall'inadeguatezza dell'industria del risparmio gestito. Un fertilizzante micidiale che ha nutrito la pianta della diffidenza verso tutto ciò che odora di rischio. Con il risultato che le famiglie si sono rifugiate nei depositi e nei titoli di Stato, scaricando azioni e fondi comuni. Ha voglia David Dreman, il profeta della strategia "contrarian", a predicare che «l'ora giusta per comprare è quando il sangue corre per le strade». Se le Borse perdono il 50% in un anno, se i bond "investment grade" di una banca blasonata come Lehman Brothers da un giorno all'altro diventano car-ta straccia, se l'ex-presidente del Nasdaq e rispettato investitore professionale Bernard Madoff truffa 50 miliardi di dollari alla sua clientela, la gente si spaventa. E gira, giustamente, al largo da quel mondo.

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