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Il Brasile resta mercato strategico (per ora)

di Antonella Olivieri

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3 dicembre 2008

Il piano industriale di Telecom Italia per il triennio 2009-2011, presentato oggi a Londra, ruota attorno a un punto focale chiarissimo: priorità alla riduzione del debito. Non solo perché, ai valori attuali, gli interessi degli obbligazionisti sono quantitativamente superiori, loro malgrado, a quelli degli azionisti, ma anche perché senza flessibilità finanziaria non è possibile mettere a punto concrete misure di sviluppo. Tant'è che il piano si concentra su due sole aree strategiche, l'Italia e il Brasile, e considera potenzialmente cedibile tutto il resto. Nel contesto attuale e con i vincoli attuali, è il massimo che si poteva fare.
Ma quando bene sarà ricondotto il debito a livelli accettabili, con un rapporto tra indebitamento finanziario netto e margine operativo lordo di 2,3 volte, il vendibile sarà stato venduto e non si potrà fare molto di più contando solo sulle risorse interne del gruppo. A quel punto si porrà la scelta se ragionare sullo sviluppo della rete di nuova generazione in un'ottica diversa da quella del monopolista, oppure se rinunciare al Brasile. In un caso saranno da ponderare attentamente costi e benefici di una soluzione di compartecipazione che, per definizione, non garantirebbe l'esclusiva a Telecom: un'ipotesi sulla quale si è già acceso un vivace dibattito politico. Nell'altro, l'eventuale rinuncia a un'area di crescita come oggi è ancora il Brasile non potrà che essere compensata da un'alternativa altrettanto valida se non migliore (il problema, se mai si porrà, sarà quello di individuare un obiettivo strategico di diversificazione geografica all'altezza).
Ma, se il candidato naturale a Tim Brasil resta Telefonica, è scontato che né Telecom né i suoi azionisti si accontenteranno di un semplice assegno, per quanto lauto. E del resto Telefonica, se volesse farsi avanti concretamente, dovrebbe risolvere l'intrinseco conflitto d'interessi del suo status di socio, uscendo preventivamente dall'azionariato di riferimento di Telecom. Resta inevasa la questione: chi sarebbe disposto a subentrare in Telco mettendo sul piatto i 2,85 euro ad azione pagati dagli spagnoli, quando il prezzo di Borsa è poco più di un terzo?

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