Attraverso una joint venture Chrysler avvierebbe la produzione e la vendita di modelli Fiat in Nord America

Fiat accelera il dossier alleanze, sulle due sponde dell'Atlantico. Da un lato prepara un'intesa con Chrysler, anticipata luned' dalla stampa e confermata marted' in tarda mattianta dalle società. «Fiat, Chrysler e Cerberus capital management - si legge in una nota - hanno annunciato la firma di un accordo preliminare non vincolante per stabilire un'alleanza strategica globale». La firma è prevista entro la fine di aprile. L'accordo dovrebbe vedere l'ingresso della casa torinese con una partecipazione azionaria nell'azienda americana, dall'altro tiene aperti i canali con Peugeot per un'eventuale alleanza più ad ampio raggio. Il titolo Fiat però ieri ha continuato a perdere terreno in Borsa (-4,88% a 4,48 euro, ieri) dove gli operatori temono che la crisi dei mercati renda necessario un aumento di capitale. Il titolo oggi, martedì, resta sospeso.

L'intesa con Chrysler
Come anticipato da Automotive News Europe, Fiat ha in corso colloqui con Chrysler per una partnership strategica che vedrà l'acquisizione da parte della casa torinese di una quota del gruppo Usa in difficoltà. Dal Lingotto è arrivato un «no comment», ma le trattative sono in fase avanzata e un annuncio potrebbe arrivare in tempi brevissimi. Fiat potrebbe dare a Chrysler accesso alle sue piattaforme per vetture mini, piccole, medio-basse e medio-alte, oltre che motori e trasmissioni. Date le difficoltà finanziarie (è appena stata salvata dal Governo Usa) Chrysler potrebbe "pagare" Fiat con azioni proprie: Torino diventerebbe così socia della casa americana senza esborso di contanti – un meccanismo coerente con la strategia seguita finora dall'amministratore delegato Sergio Marchionne e con l'attuale esigenza di minimizzare le uscite di cassa. Secondo il Financial Times è già stata siglata un'intesa di massima per una quota del 35%, con la concessione da parte di Chrysler di un'opzione per prendere il controllo (il 55% secondo il Wall Street Journal) in un momento successivo. Secondo l'agenzia Agi, sull'intesa con Chrysler la Consob ha chiesto chiarimenti al Lingotto – chiarimenti che dovrebbero arrivare entro stamane.
L'ingresso di Fiat in Chrysler vedrebbe la contemporanea uscita di scena della Daimler, che aveva ceduto l'80,1% del capitale a Cerberus due anni fa e che aveva conservato il restante 19,9% (peraltro già svalutato a zero). Sia la quota Fiat che l'opzione potrebbero avere un carattere quasi teorico, qualora nell'ambito del piano di salvataggio Washington ricapitalizzasse Chrysler diluendo i soci privati. La scommessa per Torino non presenta particolari rischi nel caso di fallimento di Chrysler, ma permetterebbe al Lingotto di partecipare a un'eventuale, pur improbabile, revival del gruppo Usa. Non solo: nell'ipotesi più positiva, il gruppo italiano si troverebbe a disporre di una rete di distribuzione e di stabilimenti Oltreoceano, sottoutilizzati e a basso costo.

I contatti con Peugeot
Il dossier francese è aperto da tempo. Le due famiglie si conoscono, e i due gruppi collaborano già nei veicoli commerciali e nei monovolume (prodotti nei due stabilimenti di Atessa e Valenciennes). Al Lingotto «ci stanno lavorando alacremente», dice una fonte industriale. Fonti vicine al gruppo francese confermano che i Peugeot (la famiglia e l'azienda) sono aperti a possibili discussioni per intese industriali e anche di capitale, ma ricordano che nell'attuale congiuntura la priorità numero uno è affrontare la crisi dell'auto.
Oggi i vertici di Peugeot e Renault incontrano l'esecutivo in occasione dei cosiddetti "Stati Generali" del settore, che dovrebbero definire gli aiuti statali al settore. Ma sono proprio la crisi e le sue implicazioni politiche a rendere un accordo italo-francese in questo momento più difficile. In particolare, il presidente francese Nicolas Sarkozy (si veda l'articolo qui sotto) ha già detto che finanzierà i costruttori a condizione che non taglino in Francia. Ma dal punto di vista industriale l'intesa Fiat-Peugeot avrebbe senso proprio in caso di consistenti sinergie sui costi. «L'accordo con Chrysler ha una logica di utilizzo di asset già disponibili e di sviluppo su nuovi mercati – spiega per esempio Stefano Aversa, co-president della Alix Partners –. Quella con il gruppo francese avrebbe la logica delle sinergie di costo». Queste sinergie potrebbero arrivare da chiusure di stabilimenti e razionalizzazione di costi di struttura, con con costi elevati sul piano sociale e politico (e anche finanziario, almeno in una prima fase). Ma è ipotizzabile che tali chiusure avvengano solo in Italia? Certamente no. Ecco quindi che un'eventuale intesa Fiat-Peugeot passerà sicuramente da Roma e Parigi. Non solo: gli eventuali fabbisogni di finanziamento straordinari di entrambe le imprese dovranno essere soddisfatti separatamente, dai Governi o sui mercati – a meno di non ipotizzare un utilizzo di fondi europei. La strada, insomma, è ancora lunga.

Il mercato e i conti
Il titolo Fiat è sceso ieri al di sotto dei minimi toccati a dicembre (-4,88% a 4,48 euro) con scambi vivaci. Oltre ai timori di un aumento di capitale e ai negoziati in corso per una rinegoziazione del debito, pesa un certo pessimismo sui conti 2008 e soprattutto e dell'anno appena iniziato. La presentazione di sabato di Marchionne alla banca svizzera Bank Am Bellevue è stata letta come una sorta di allarme utili: centreremo gli obiettivi 2010 - ha detto il manager – solo se il mercato tornerà alla normalità entro il 2009. La media delle stime degli analisti sull'ultimo trimestre Fiat vede un utile operativo di 590 milioni (947 nel 2007) per il gruppo e quasi azzerato a 40 per l'auto (233 nel 2007); l'utile netto si dimezzerebbe a 290 milioni. I valori per l'intero 2008 sono 3,27 miliardi di utile di gestione di gruppo (3,23 nel 2007), 680 milioni per l'Auto (803 nel 2007) e 1,76 il risultato netto di gruppo (da 2,05); secondo la media degli analisti la divisione auto chiuderà il 2009 in rosso, sia pure di poco (30 milioni di euro). Il debito netto industriale a fine 2008 si dovrebbe invece essere ridotto a 2,57 miliardi dai 3,3 di fine settembre, anche se è proprio questo aspetto dei conti a preoccupare di più, in quanto la frenata del mercato delle cartolarizzazioni rende più difficile finanziare il capitale circolante.