Quando Sergio Marchionne due mesi fa ha lanciato il sasso nello stagno, parlando di consolidamento del settore auto a tappe forzate, non tutti erano convinti. Una cosa è certa: l'amministratore del Lingotto ha iniziato a lavorare «alla velocità della luce» – per usare una sua espressione – per dare a Fiat un posto di prima fila. Anche se, dati i tempi e le condizioni, non sarà facile.
L'intesa con Chrysler, che potrebbe essere annunciata già in queste ore, è un primo passo. L'operazione rappresenta una via di mezzo tra la strategia prima maniera del manager italo-canedese («Niente accordi globali, solo intese mirate») e quella che il «Marchionne 2.0» ha adottato dopo l'arrivo della crisi. Nessun esborso di cassa, rischio limitato, grandi potenzialità nel caso (pur improbabile) in cui Chrysler sopravviva. L'intesa americana, però, non risolve nessuno dei problemi di breve periodo del Lingotto: le vendite che calano più rapidamente dei costi, il crescente fabbisogno di cassa, la crisi del sistema finanziari; problemi in gran parte comuni agli altri costruttori. Per risolverli servono mezzi freschi ed eventualmente intese in grado di fornire sinergie immediate.
Per quanto riguarda i primi, Torino ha avviato contatti con le banche (anche se la Borsa teme un aumento di capitale, ed è per questo che spinge il titolo ai minimi). Per quanto riguarda le intese, i vertici del Lingotto – da Marchionne al presidente Luca di Montezemolo al vice John Elkann, rappresentante della famiglia Agnelli, stanno lavorando su più di un fronte. Un'intesa con Peugeot sarebbe facilitata dai contatti familiari e dal lavoro comune di decenni. Con un problema: le sinergie che renderebbero un accordo redditizio dal punto di vista finanziario sarebbero dolorose sul piano sociale, e di conseguenza politico.
Il presidente francese Nicolas Sarkozy, che ha convocato per oggi gli «Stati generali» del settore auto, ha già messo in chiaro la sua opinione: aiuti sì, ma purché Renault e Peugeot non chiudano gli stabilimenti in Francia. E non è certo ipotizzabile che l'intesa veda tagli solo da una parte sola. Un accordo passerebbe quindi necessariamente da Parigi e da Roma. Come avvenne vent'anni fa per la fusione (paritaria) tra Sgs e Thomson.