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Il mercato può attendere

di Mario Platero

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27 FEBBRAIO 2009


Il salvataggio Aig è al quarto giro di boa; Citi sarà seminazionalizzata; dall'auto giungono nuove preghiere di aiuto. Ieri lo zio Sam ha risposto: il bilancio di Barack Obama ha un rapporto deficit/Pil del 12,3%. L'America ostile al «mercato sociale» europeo ci ha superati: ha scelto il sociale e ha tolto il mercato.
Quel che colpisce nel disavanzo di 1.750 miliardi di dollari presentato ieri mattina nel bilancio della Casa Bianca per l'anno fiscale 2010 è la miracolosa assenza contabile di altri circa 8.000 miliardi di dollari in aiuti già in qualche modo stanziati o erogati dal Governo americano tra garanzie, prestiti del Tesoro, della Federal Reserve, della Fdic in programmi com Tarp, Tarp2, Talf, aiuti ai proprietari di case in difficoltà o a Detroit. E già altri si fanno sotto, l'indotto dell'auto o le compagnie siderurgiche. Non ci si accontenta più di aiuti soft, come la clausola Buy American, messa nel pacchetto di stimoli da 787 miliardi di dollari, si vuole battere cassa. Ora che debbono affrontare crisi sfuggite di mano agli addetti ai lavori, oscuri burocrati sperduti in qualche ufficio ministeriale a Washington mostrano i muscoli. Diventeranno loro i nuovi presuntuosi, i nuovi depositari della Verità? C'è da chiederselo vista la rapidità con cui il pendolo dell'economia americano è passato in poco più di un anno dal liberismo sfrenato al più grande programma di interventi statali della storia.

Il bilancio 2010 di Barack Obama ha fatto da corollario al discorso più progressista mai sentito in un intervento davanti al Parlamento riunito in seduta plenaria. L'attivismo dello Stato, gli aumenti delle aliquote per il mondo degli affari,l'avvio di un programma sanitario nazionale, la mano federale sull'istruzione, rappresentano sfide rivoluzionarie. E si aggiungono alle misure per stabilizzare la crisi. Era forse dal progetto per la «Great Society» di Lyndon Johnson che non si vedeva un ruolo così incisivo dello Stato in America.

La presidenza Obama vuole cambiare il baricentro politico del Paese: se andrà bene ci riuscirà e lascerà un'impronta per qualche decennio. Se andrà male, la destra e i suoi nuovi alfieri, come Bobby Jindal, governatore della Luisiana, torneranno alla carica con individualismo contro statalismo.L'analista politico David Brooks osserva: «Siamo alla vigilia del più grande esperimento politico del nostro tempo. E ho paura che volendo far tutto, Obama non farà niente bene. Ho paura che un gruppo che non ancora imparatoa usare i telefoni nei nuovi uffici cerchi di ridisegnare metà della nostra economia».

Ne usciremo dunque lasciandoci il mercato alle spalle? Non in tempi brevi. La caduta della Borsa delle ultime settimane non riflette solo la sfiducia in un discorso confuso del nuovo segretario al Tesoro Tim Geithner o la profonda virata a sinistra di Barack Obama, ma il fatto che per ora non si vede ancora la luce fuori dal tunnel. Proprio ieri ad esempio, alcuni grandi costruttori a New York hanno rotto l'incantesimo dell'immobilismo dei prezzi. Nessuno vendeva e nessuno comprava. Lo squilibrio tra i prezzi di offerta e quelli di domanda era incolmabile. Hanno vinto i compratori: partiranno aste pubbliche di nuovi condomini sul mercato. Quest'anno le aste riguarderanno 8mila nuovi appartamenti. L'anno prossimo ne saranno completati altri 22mila. Alla fine, come sempre, la risposta più attendibile l'avremo dai prezzi. Se e quando ci saranno, sia che si tratti di appartamenti a New York o di titoli tossici, vorrà dire che le cose finalmente si muovono.Nel frattempo auguriamoci chel'America possa imparare dalla vecchia Europa: gli spostamenti troppo rapidi del pendolo economico non hanno mai giovato a nessuno.

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