Materia rovente, quella dei derivati, per i Comuni italiani. La Finanziaria 2009 è lo spartiacque che impone un taglio netto con il passato e vieta alle amministrazioni locali di avventurarsi sul terreno insidioso della finanza speculativa con i soldi dei contribuenti. Una prassi che, consolidatasi negli anni passati, ha finito per minare i conti pubblici. Secondo i dati del ministero dell'Economia, a giugno 2008 ben 594 tra Regioni, Province e Comuni avevano sottoscritto contratti swap per un nozionale complessivo pari a 35,6 miliardi di euro.
Adesso i Comuni, ai quali tuttavia proprio la Finanziaria consente la rinegoziazione dei contratti con le banche, ma solo allo scopo di rendere lo swap coerente con il debito sottostante, stanno correndo ai ripari anche cercando accordi con gli istituti di credito che li hanno imbrigliati per dieci, venti o trent'anni esponendoli non di rado al rischio di bancarotta. Oggi il sindaco di Terni, Paolo Raffaelli, in rappresentanza dell'Associazione nazionale dei Comuni (Anci), nel corso dell'audizione in commissione Finanze del Senato (è in corso un'indagine conoscitiva sull'utilizzo e la diffusione degli strumenti di finanza derivata e delle cartolarizzazioni nelle pubbliche amministrazioni) ha chiesto aiuto a Governo e Parlamento.
«Chiediamo - ha dichiarato Raffaelli - di consentire ai Comuni di rinegoziare con vincoli ed entro limiti espressamente stabiliti, i contratti derivati attualmente in essere e di istituire un apposito organo di conciliazione cui possano essere deferite, su base volontaria, eventuali questioni problematiche concernenti i derivati in essere». Il sindaco di Terni ha chieso anche di «avviare subito il confronto in merito alla nuova disciplina regolamentare degli strumenti derivati che possono essere utilizzati dagli enti locali», per il quale l'Anci «è immediatamente disponibile».
Nel ricostruire la storia del ricorso ai derivati da parte degli Enti locali, Raffaelli ha ricordato che «le norme in materia hanno addirittura, soprattutto alla fine degli anni '90, quasi prescritto l'utilizzo da parte dei Comuni dei derivati, senza che peraltro venissero dati agli Enti locali, da parte della Consob, gli strumenti adatti ad una approfondita valutazione». nel merito dell'urgenz attuale, ha sostenuto inoltre Raffaelli, «il fenomeno derivati dovrebbe essere affrontato con una prospettiva più ampia; il blocco inserito mediante l'articolo 62 del decreto legge 112/2008 (come modificato dalla legge finanziaria del 2009) non risolve il problema degli strumenti in essere».
La soluzione «non può essere offerta da una norma che pone un divieto di ristrutturare tali contratti (salvo, come si diceva, i casi in cui l'ente modifichi il contratto derivato in conseguenza della ristrutturazione della passività cui il medesimo contratto derivato è riferito), lasciando per le operazioni in essere come unica via d'uscita quella della chiusura delle relative posizioni, per quegli enti che sono in grado di percorrerla».
L'associazione dei Comuni «sostiene inoltre l'opportunità dell'istituzione di un apposito organo di conciliazione cui possano essere deferite, su base volontaria, eventuali questioni problematiche concernenti i derivati in essere». Anche qui non è chiaro se l'Anci chieda un'implementazione di un organismo oggi già esistente, il Conciliatore bancario (in realtà emanazione dei primi dieci istituti nazionali, associazione nata nel 2007 col patrocinio dell'Abi per la soluzione delle controversie bancarie, finanziarie e societarie attraverso procedure alternative alla giustizia ordinaria) e al quale potrebbe aggiungersi la Consob.