Pfizer acquista Wyeth per 68 miliardi di dollari. Non solo: Fiat, se l'accordo con Chrysler andrà in porto, può conquistare il 35% della più piccola delle tre sorelle di Detroit. Ancora: le giapponesi, Mitsui Sumimoto, Aioi Insurance e Nissay Insurance, sono pronte a fondersi per dar vita a un colosso assicurativo da 30 miliardi di raccolta premi. Di più: Toshiba e Nec puntano ad unire i loro business nella produzione dei microchip. Sono queste alcune delle operazioni di finanza straordinaria, già realizzate o messe in cantiere, che hanno segnato l'inizio del 2009.
Un fuoco di paglia o l'M&A potrà scaldarsi nel corso dell'anno?
Una risposta arriva dagli stessi manager d'impresa. Secondo un vasto sondaggio realizzato in Europa da Ubs e Boston Consulting, il 43% dei 168 dirigenti d'azienda intervistati dice di attendersi un "trasformational deal", cioè una fusione che modifica lo scenario competitivo di un intero comparto. Al contrario, solamente il 34% pensa che le acque dell'M&A rimarranno calme; mentre il restante 23% non ha alcuna idea in proposito. Insomma, per la maggioranza dei manager, nel 2009 potremo assistere a diverse mosse delle società in caccia di prede. La partita però avrà regole e giocatori differenti, ben diversi dal recente passato.
I settori dov'è atteso il «Trasformational deal»
Private equity e hedge fund cedono il passo
Niente più shopping, per esempio, che sfrutti leve di debito folli. Niente più compratori, poi, il cui identikit combacia con quello di un soggetto puramente finanziario, sia esso in private equity o un hedge fund. Certo, ci saranno eccezioni. Tra queste, ovviamente, i fondi sovrani che, con la loro potenza di moneta, avranno (anzi lo hanno già) un loro ruolo. Tuttavia la gelata sul credito non concede illusioni. I fondi che gestiscono il proprio portafoglio, in questo periodo, devono fare i conti con diversi problemi: dal limitato ritorno sul capitale fino al mancato rispetto, spesso a causa di un leverage eccessivo, delle clausole impostegli dai creditori. Il risultato? Il riscatto delle quote da parte dei sottoscrittori se non il fallimento. Ma non è solo questione dei fondi che da tempo hanno investito: la stessa raccolta di capitali, in questo periodo, è molto difficile. «E anche chi l'ha già chiusa – spiega Marco Belletti, Head of M&A di Société Genérale Italia – ha dei problemi. La mancanza di fiducia, infatti, può indurre l'investitore a non dare comunque i soldi. Solo chi li ha già investiti, anche se solo in parte, ha una situazione più tranquilla».
Le società di nuovo protagoniste.
Che le luci della ribalta siano negate agli attori finanziari puri è, indirettamente, confermato dagli stessi manager europei. La maggioranza di questi (70%) indica, quale causa principale per il riscaldarsi dell'M&A, l'accelerazione del consolidamento dell'industria mondiale. Al secondo posto, per il 62% dei dirigenti industriali, bisogna fare invece riferimento ai prezzi da saldo delle società target . Quale terza causa, infine, è fondamentale la necessità di un cambio di proprietà dell'azienda (56%). All fine, insomma, tirando le somme appare chiaro che, secondo i manager, le fusioni saranno spinte dal consolidamento industriale: saranno le società a comprare altre società.
Shopping per sopravvivere.
Già, ma con quali obiettivi? Il driver in assoluto più importante, sempre secondo quanto salta fuori dalla ricerca di Ubs e Boston Consulting, è quello di creare un gap strategico con i concorrenti. Rinforzare e ampliare il proprio portafoglio; espandere la propria presenza in mercati, geografici o di prodotto, ancora non presidiati; diventare leader di settore. Sono questi gli obiettivi principi di chi lancia un take-over. Al contrario, solo il 16% dei manager ricerca le economie di scala e, sorprendentemente, un misero 8% parla dell'acquisizione come strada per fare crescere i ricavi. Il messaggio delle aziende, quindi, è chiaro: più che una mossa all'attacco si tratta di una strategia difensiva, per affrontare la crisi. Il leit-motive è uno solo: in casa, per quanto possibile, pulizia è stata (o viene) fatta. Adesso ciò che realmente conta, al di là della crescita di ricavi e profitti, è posizionarsi al meglio. Guadagnare più incollature di vantaggio per essere pronti a scattare nel momento giusto, quando arriverà (se arriverà) l'agognata ripresa dell'economica.
L'identikit del cacciatore.
Già, essere pronti a scattare. Ma chi, attualmente, ha i requisiti per dare l'assalto ad un concorrente senza, poi, doverne pagare lui le conseguenze, soprattutto in Borsa? «Non è facile dare una risposta in generale – dice Andrea Mancadori, gestore fondo azionario europa di Bpm Sgr - Ogni settore e ogni azienda hanno una storia a sé, da valutare singolarmente. Ciò detto un potenziale buyer, in primo luogo, deve vantare stime positive nella generazone di cash-flow. Come minimo per un paio di anni». È l'indizio che, salvo imprevisti, c'è la capacità di rientrare dall'esborso e i multipli cui si basano le valutazioni di mercato possono tornare in breve tempo "normali". Di più: «L'indebitamento – ricorda Mancadori – deve essere basso. Per esempio, nel 2009, la media di settore del rapporto tra debito e Ebitda per il food&beverage è stimata attorno 3. E' un valore troppo alto: il livello medio storico è attorno a 1. Chi volesse realizzare un'operazione straordinaria dovrebbe vantare un valore del rapporto almeno la metà di quello attuale». Ma non è solo una questione di debito e redditività. «Bisogna anche guardare la capacità e velocità dell'azienda nell'integrare i nuovi business, realizzare le sinergie e tagliare i costi». In tal senso il fatto che, per esempio, le attività delle due aziende non si sovrappongano è fondamentale. «Così come è importante – rileva Mancadori – la possibilità di sfruttare, per esempio, le stesse reti di vendita e distribuzione».
Settori coinvolti e possibili target
Al di là dei requisiti dei cacciatori («è un mercato dei compratori - ricorda Belletti - Con l'attuale crisi non c'è più tanto spazio per le aste da parte venditori»), una delle domande che rimbalza nelle sale operative è: quali i settori più coinvolti e quali le società possibili target? Ancora una volta i manager europei danno un'interessante indicazione: le assicurazioni (71%), le banche (67%), le costruzioni, i trasporti e le materie prime (50%) sono tra i comparti che dovrebbero essere "colpiti" da un "trasformational deal". Ma anche altri mondi industriali possono vantare un loro appeal sotto questo fronte.
Le utility
Un comparto interessante, sotto questo profilo, è quello delle utility. Qui, secondo gli analisti di Ubs, una situazione da monitorare è quella della francese Areva. Proprio di recente la tedesca Siemens ha detto di volere uscire dall'azionariato di Areva Np, la divisione del gruppo transalpino attiva nella produzione di impianti per l'energia atomica. Secondo gli analisti della banca svizzera, «il governo francese, abbandonata la scena da parte dei tedeschi, potrebbe voler sostenere un deal tra Areva, Alstom e Bouygues per cerare un campione nazionale nell'atomo». In questo modo, da un lato Alstom (che produce impianti nei settori gas, carbone e idroeletttrico), metterebbe un piede nel business nucleare. Dall'altro il governo francese, che attraverso Cea detiene il 79% di Areva, si gioverebbe di un bella iniezione di cash. Soldi che, uniti alle immancabili sinergie, potrebbero sostenere i progetti di energia alternativa tanto cari Eliseo che vuole ridurre la dipendenza dal petrolio arabo e dal gas russo. In alternativa, se non fosse realista la joint-venture tra i tre soggetti, si «potrebbe pensare - sempre secondo Ubs - ad un take over di Bouyges (che ha il 30% di Alstom, ndr) su Areva». L'unico vero ostacolo a questo "piano" è la volonta dei manager. A capo di Areva, infatti, c'è Anne "Atomic" Lauvergeon che non ha mai visto di buon occhio quel Martin Bouygues tanto amico del presidente Nicolas Sarkozy. E, peraltro, la stessa società Bouygues in questo momento di dura crisi potrebbe non avere così tanta fretta di rompere il salvadanaio e tirare fuori i denari necessari.
Per rimanare sempre dalle parti dell'energia, Ubs indica un altra società interessante: Iberdrola. «Il mercato spagnolo - scrive l'Unione delle banche svizzere - si trova nel mezzo di un effetto domino da M&A», successivo alla liberalizzazione del comparto e alle operazioni su Endesa e Fenosa. «E Iberdrola, con l'alta qualità dei suoi asset e la sua attuale bassa valorizzazione in Borsa, è un possibile canditato per l'M&A». Nel settore, secondo Ubs, solo due compagnie «hanno un conto economico in grado di sostenere una possibile operazione sul gruppo iberico: Gaz de France-Suez e Rwe. Nessuna delle due aziende - sottolinea Ubs - ha, però, espresso interesse nel deal». E bisogna poi capire se gli attuali venti di protezionismo, dovuti alla recessione, soffieranno da Madrid, blindando così la società spagnola. Ma rimane il fatto che, per gli esperti svizzeri, Iberdrola rimane un target plausibile.
Il farmaceutico
Il mondo delle pillole e dei farmaci, comparto per natura anticiclico, sta soffrendo relativamente di meno di altri settori industriali, automotive in primis. Ma anche qui, dopo l'operazione di Pfizer su Wyeth, gli analisti guardano con interesse a varie situazioni. Sempre secondo gli esperti di Ubs, AstraZeneca potrebbe avere messo nel radar Shire. «Quest'ultima, spesso - scrive Ubs -, è al centro di rumor come possibile oggetto di un'operazione di finanza straordinaria . E, qui, AstraZeneca potrebbe essere tra i candidati più plausibili». La società anglo-svedese, che come tutte le big pharma deve fronteggiare la scadenza di suoi importanti brevetti e la stagnazione della domanda, troverebbe un buon vantaggio dai prodotti di Shire. A sua volta, il gruppo americano «riceverebbe un bel sostegno nella sua volontà di espandersi fuori del mercato Usa, dove AstraZeneca ha una forza non indifferente».
Le banche
Ma non è solo questione di pillole e molecole. Nel recente passato importanti operazioni sono state messe a segno tra i grandi malati della finanza mondiale: le banche. Per quanto Bankitalia abbia indicato che è difficile possano crearsi, nel 2009, le condizioni per ulteriori fusioni, è indubbio che il comparto rimane "incandescente". Qui Marcello Esposito, direttore investimenti di Banca e Patrimonio Sella & c, sottolinea un aspetto interessante: «Al di là delle operazioni straordinarie sui singoli istituti, come abbiamo visto negli Usa - dice l'esperto -, un'area che potrebbe vedere qualche movimento è quella dell'asset management. La necessità di controllare il rischio, la ricerca di economie di scala può imporre la ricerca di alleanze». Com 'è accaduto, per esempio, nei casi di Société Générale e Credit Agricole; oppure tra Citigroup e Morgan Stanley che hanno creato una joint-venture per Smith Barney. Insomma, seppure in un'ottica spesso di sopravvivenza (come insegna il caso delle sempre nuove alleanze nel settore dell'auto) , il mondo delle fusioni e aggregazioni potrà vedere un'"obbligata" effervescenza.
(Le indicazioni espresse non costituiscono alcun sollecitazione all'investimento)
vittorio.carlini@ilsole24ore.com
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