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Quel silenzio sui premi

di Gianni Dragoni

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3 Febbraio 2009

Il pagamento dei bonus (i premi di risultato per i dirigenti) è uno dei temi più controversi e dibattuti nel mondo per le società quotate. Crisi finanziaria e recessione hanno suggerito in molti Paesi un taglio dei premi. In Italia invece c'è un silenzio generale. A poche settimane dalla campagna dei bilanci 2008, solo un gruppo, UniCredit, ha annunciato l'azzeramento dei bonus per i vertici.

Eppure, i «gatti grassi» non abitano solo a Wall Street, anche se questo è l'epicentro degli eccessi. «È vergognoso» ha detto il neopresidente Usa, Barack Obama, quando ha letto che nel 2008 «i banchieri a Wall Street avevano deciso di pagarsi premi sullo stipendio per 20 miliardi di dollari, lo stesso livello del 2004 nel momento in cui queste stesse istituzioni sono sull'orlo del collasso e chiedono al contribuente di aiutarli». Il monte-compensi variabili è diminuito del 44% sul 2007, ma la somma resta impressionante.

Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha chiesto ai banchieri soccorsi dallo Stato di rinunciare ai bonus e di non distribuire dividendi. All'«invito» ha aderito Bnp Paribas, la banca presieduta da Michel Pébéreau che controlla Bnl, della quale non si conoscono gli intendimenti sui bonus. Si sono accodate Crédit Agricole e Sg. In Germania il Governo ha stabilito che le banche beneficiarie di aiuti non potranno pagare i vertici più di 500mila euro l'anno. Un tetto che in Italia sarebbe sotto la soglia di povertà per molti banchieri. Josef Ackermann, di Deutsche Bank, ha «rinunciato» ai bonus del 2008. La banca ha quindi annunciato perdite per 3,9 miliardi nel 2008, la prima volta in rosso cinquant'anni. In Svizzera il Governo ha comunicato a Ubs, aiutata dallo Stato, che i bonus per i dipendenti devono essere abbattuti dell'80 per cento.

Negli Stati Uniti si va da un estremo a un altro. C'è lo scandalo Merrill Lynch, la banca salvata con l'intervento di Bank of Amercia e dei contribuenti americani che però ha distribuito bonus per quattro miliardi di dollari il 29 dicembre: l'operazione è costata il posto al capo, John Thain. Hanno rinunciato al bonus i capi di Citigroup, JPMorgan, Morgan Stanley. Lloyd Blankfein, di Goldman Sachs, nel 2008 ha guadagnato 600mila dollari, un centesimo dei 68,5 milioni dell'anno precedente.

In Italia, come in Spagna, c'è stato un dibattito pubblico notevolmente scarso «sull'eccesso di compensi per i dirigenti», ha sottolineato Paul Betts sul Financial Times il 5 novembre scorso. Da allora quasi nessuna voce ha rotto il silenzio. L'unica «vittima» annunciata resta Alessandro Profumo di UniCredit. Nel 2007 il suo stipendio base è stato di 3,48 milioni lordi, salito a 9,43 milioni grazie a un variabile di 5,95 milioni. È questo che dovrebbe saltare per il 2008. Inoltre nel 2007 il banchiere aveva ricevuto azioni gratuite («performance share») per 3,92 milioni. Titoli che oggi valgono una frazione di quell'importo.

UniCredit è la banca che sembra aver sofferto di più per la crisi, ma non l'unica. Il concorrente, Intesa Sanpaolo, non pagherà dividendo in denaro e nei primi nove mesi del 2008 ha subìto una flessione degli utili del 44% (UniCredit del 36%). Nulla è stato detto sul bonus dei vertici. Così come per Mps e le altre società. Il presidente Abi, Corrado Faissola, non vuole i tetti imposti agli stipendi, preferisce l'autoregolamentazione. Il Governo ha introdotto con il decreto anti-crisi un codicillo in cui stabilisce, tra le condizioni per l'intervento del Tesoro a favore delle banche, che queste adottino «un codice etico contenente, tra l'altro, previsioni in materia di politiche di remunerazione dei vertici aziendali». Nelle Camere dal decreto è saltata la frase che diceva: «Il codice etico è trasmesso al Parlamento». La pubblicità non è gradita.

Anche l'industria soffre. La Fiat ha annunciato un calo del 17% dei profitti e un incremento dei debiti.

Sandro Catani, advisor Watson Wyatt per l'executive compensation, fa notare che nelle discussioni si fa riferimento al premio annuale, ma esiste anche il bonus triennale, che forse non verrà sacrificato. Catani non si aspetta una falcidia delle buste paga. «Quando si chiede alle società delle retribuzioni fisse, rispondono che probabilmente non aumenteranno, ma non scenderanno. E il fisso in Italia non è così basso, in percentuale, rispetto al variabile, come negli Usa. Quanto al bonus, non è collegato alla Borsa, ma all'Ebitda e ai risultati operativi. È presumibile che i risultati di molte imprese siano comunque tali da consentire ai manager di ottenere almeno una parte dei bonus. E – osserva Catani – ci sono comparti come il petrolifero in cui i risultati delle aziende sono migliorati, come per le utility. Certo, la situazione sarebbe paradossale se gli azionisti non ricevessero dividendi e i manager invece intascassero il premio. Il sistema va riformato, approfittando della crisi, con più trasparenza».

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