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De Palma (J. Baer): «Strumenti ancora utili, ma più controlli»

di Alberto Annicchiarico

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27 marzo 2009

Tutto taceva sul fronte occidentale. A guardare l'andamento dei rating sul debito a lungo termine di Citigroup prodotti da Standard & Poor's tra il 4 febbraio del 1997 e il 19 dicembre 2008 si poteva pensare: ma sì, in fondo non accade nulla di davvero preoccupante: AA- stabile, con un breve ritorno alla doppia AA nel 2007. Discesa ad A soltanto a dicembre 2008. Due mesi dopo il tracollo di Lehman Brothers.

Alla vigilia del G-20 di Londra, dopo mesi di aspre discussioni, appare quasi inevitabile una riforma delle regole della finanza che potrebbe portare a creare un'autorità di supervisione globale per le molto criticate agenzie di rating. Ci chiediamo: le riforme annunciate dai venti Grandi sono realmente indispensabili al mercato dei corporate bond o servono come foglia di fico? In fondo ci sarebbero anche altri strumenti per valutare il credit risk e in tempi ben più rapidi.

«Uno strumento non esclude l'altro - risponde Massimo De Palma, responsabile Asset Management di Julius Baer Sgr, quindi un manager di fondi per il quale i rating sono sempre stati pane quotidiano - e poter contare su più società indipendenti che offrano analisi sulla solvibilità di un'azienda è ancora utile. Che il mercato determini poi i prezzi è altrettanto importante e complementare. In questo modo è possibile avere un quadro completo. Certo, che poi ci sia necessità di esercitare un controllo sulle società di rating è altrettanto importante. Non tutto ha funzionato bene, a partire dalle valutazioni sui prodotti legati ai mutui subprime».

Come è cambiato il modo di lavorare dei fund manager nel dopo-Lehman?
Per noi è ancora importante avere a portata di mano determinati giudizi. Quando definiamo con un cliente i limiti operativi sulla parte obbligazionaria di un investimento utilizziamo ancora i rating ufficiali, anche se prima guardiamo all'insieme del quadro macro e microeconomico oltre che alle prospettive. Non manca un'analisi sul rischio Paese della società in questione. Insomma il rating è di aiuto, ma non è determinante; anche perché le variazioni dei prezzi sono immediate, i rating non possono cambiare tanto in fretta.

Ovvero?
Ricordo che qualche tempo fa le voci di possibile default del braccio finanziario di General Electric avevano fatto abbassare immediatamente i relativi prezzi delle obbligazioni. Quando nei giorni successivi il gruppo ha dichiarato che non c'era bisogno di rafforzare il capitale e che la solvibilità era totale la situazione è subito tornata nella norma. Per i rating non potrebbe mai andare così.

Guardando alle quotazioni dei Cds sembra che il rischio di fallimento di alcune grandi banche europee per il momento sia scongiurato. Diversa è la situazione per i grandi istituti americani. Come si riflettono questi dati attualmente sui mercati delle obbligazioni corporate del settore?
Per me conta soprattutto il livello di seniority del rischio, quindi la strategia giusta è quella della massima seletività dei nomi e delle garanzie sui singoli livelli. Ovvio che per le obbligazioni bancarie puntiamo più su un bond in grado di offrire maggiori garanzie, un senior debt, che non su un subordinato. Più in generale posso dire che oggi le garanzie degloi Stati hanno effetti diversi in termini spread, ad esempio sui titoli tedeschi di 30 punti base, per quanto riguarda gli spagnoli intorno ai 60 punti base. E poi ci sono sempre le vecchie emissioni, prive di garanzie pubbkliche, che arrivano anche a 500 punti.

La Banca centrale europea potrebbe seguire la Bank of England sul terreno dell'acquisto di corporate bond per andare incontro alle esigenze delle imprese
. Non è una forma di distorsione del mercato? Non sarebbe il caso di limitare quanto più possibile provvedimenti popolari, ma forse dannosi ?
In questo momento certe decisioni sono necessarie. Nelle fasi iniziali della crisi dominava la paura che i Governi non fossero pronti a reagire e che si avvicinasse un nuovo 1929. Invece, nonostante alcune lentezze della Bce, soprattutto riguardo al taglio dei tassi, si è scelto di intraprendere la strada di politiche ortodosse e non ortodosse - penso sprattutto alla Federal Reserve e alla BoE- come voleva il mercato. La priorità è stata ed è ancora, visto che non siamo fuori dal guado, ricreare la fiducia, riportare serenità tra gli operatori. Del resto il caso Lehman ha fatto capire a tutti che non ci si può permettere scorciatoie quando si rischiano gravi ripercussioni su tutto il sistema».

27 marzo 2009
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