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Il miracolo Goldman divide Wall Street

di Alessandro Merli

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18 aprile 2009

A giudicare dai risultati del primo trimestre 2009, le grandi banche americane, che sei mesi fa erano sull'orlo dell'abisso dopo il fallimento di Lehman Brothers, godono ora di ottima salute. Sui mercati ci si interroga se il risanamento sia effettivo e duraturo, o legato a una combinazione delle nuove condizioni della finanza di Wall Street e dell'uso di tutti i possibili strumenti contabili e aiuti di Stato. Proprio il ruolo dei finanziamenti pubblici fa sì che la discussione sia in queste ore altrettanto animata a Washington che a Wall Street. Per di più nell'imminenza della pubblicazione da parte del Governo dei risultati dello "stress test" sulle condizioni di salute delle banche e l'ipotesi della necessità di ulteriori iniezioni di capitale, cui ha fatto da contrappunto, negli ultimi due giorni, l'annuncio di Goldman Sachs e di Jp Morgan di voler invece rimborsare anticipatamente i fondi pubblici ricevuti, al culmine della crisi, in base al piano Tarp.

Nessuna banca è nel mirino degli osservatori di mercato e degli ambienti politici come Goldman Sachs. Casa madre di due ex segretari al Tesoro come Bob Rubin, grande artefice della deregulation finanziaria degli anni 90, e Hank Paulson, quest'ultimo protagonista dei salvataggi delle banche sotto l'amministrazione Bush, e anche del meno noto Neel Kashkari, il dirigente del Tesoro che gestisce i fondi pubblici del Tarp, la Goldman, anche per il suo ruolo di leader di mercato, attira da sempre invidie e risentimento. Anche volendo lasciare da parte casi estremi un po' eccentrici come quelli del creatore (che, per sua ammissione, è "corto" sul titolo Goldman) del sito www.goldmansachs666.com, in cui la si paragona al demonio in persona.

Il rimbalzo del primo trimestre (con utile di 1,81 miliardi di dollari, il doppio della aspettative degli analisti e un netto cambio di marcia rispetto alla perdita di 2,29 miliardi fra settembre e novembre, la prima mai registrata dalla banca) è dovuto in parte al mutamento permanente del panorama di Wall Street, con la scomparsa o l'assorbimento di alcuni dei maggiori concorrenti, come Bear Stearns, Lehman e Merrill Lynch. Questo ha consentito, per esempio, grazie all'ampliamento dei margini, un profitto da primato alla divisione reddito fisso/commodities/valute, un po' come è avvenuto per gli altri superstiti, Jp Morgan e Citi, mentre l'utile di altri istituti con un modello di banca più tradizionale, come Wells Fargo, è dovuto all'aumento dei mutui per la casa. Non tutto questo miglioramento nelle attività di trading sarà, secondo diversi analisti, strutturale e replicabile. Ma Goldman resta al primo posto anche in altre aree di business in attesa di tempi migliori, come il corporate finance. Inoltre, se la banca ha accumulato liquidità, investita massicciamente in titoli pubblici, fino a 164 miliardi di dollari e ridotto l'uso della leva finanziaria, non ha certo abbattuto la propensione al rischio, degna delle fasi più euforiche del boom. Secondo gli analisti, il value-at-risk, cioè le potenziali perdite sul portafoglio, a fine trimestre era il più alto di sempre. Nei conti trimestrali, è stato poi sfruttato abilmente il cambio della fine dell'esercizio contabile, allineato ora a quello delle altre banche, per omettere dal confronto con i tre mesi precedenti il risultato di dicembre, una perdita da 0,8 miliardi di dollari.

Quel che fa più discutere tuttavia è l'intreccio con le misure pubbliche di salvataggio. Goldman ha annunciato il beau geste di voler rimborsare i fondi del Tarp (i più maliziosi sostengono che si tratti di un modo di liberarsi dei lacciuoli imposti dal Governo alla remunerazione dei banchieri, anche se, a dire il vero, il ceo, Lloyd Blankfein, ha fatto pubblica ammenda su questo tema). Ma i critici della banca, come per esempio la pagina degli editoriali del «Wall Street Journal», hanno osservato che Goldman può oggi, trasformata da investment bank a banca commerciale, accedere ai finanziamenti della Federal Reserve, e soprattutto avvantaggiarsi notevolmente dall'emissione di obbligazioni a basso costo grazie alla garanzia federale della Fdic, copertura che durerà almeno fino a fine anno.

E le polemiche sul fronte politico sono rinfocolate dal fatto che le 21 grandi banche che hanno ricevuto complessivamente 211 miliardi di dollari di fondi dalla Fed, lungi dall'aumentare il credito all'economia, lo hanno invece ridotto del 6% fra gennaio e febbraio, di 16 miliardi di dollari. E il calo dei prestiti alle imprese è stato addirittura del 24%. Fra gli istituti che hanno impresso la stretta più severa agli impieghi, Jp Morgan, seguita da Goldman Sachs e Morgan Stanley.

18 aprile 2009
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