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Banche sotto stress, negli Usa scampato pericolo. E da noi?

di Maria Adelaide Marchesoni e Valeria Novellini

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8 maggio 2009
Borsa, le performance della settimana

"Smooth Operator", colui che "calma le acque", potrebbe essere il nuovo soprannome di Ben Bernanke e Timothy Geithner. Nella scorsa settimana i principali esponenti delle autorità di controllo e del Governo degli Stati Uniti a livello finanziario hanno continuamente rilasciato dichiarazioni rassicuranti sul fatto che i risultati degli "stress test" a cui sono state sottoposte le principali 19 banche statunitensi non avrebbero evidenziato alcuna situazione di insolvenza.

Questo in quanto la diffusione dei risultati degli "stress test"*, originariamente prevista per il 4/5, è stata successivamente posticipata di alcuni giorni (sono stati in effetti resi noti il 7/5), e tale ritardo ha acceso la speculazione su quali banche avrebbero evidenziato un maggior bisogno di rafforzamento patrimoniale. Voci di mercato, rivelatesi poi fondate, hanno indicato in Bank of America l'istituto più esposto e, difatti, la necessità di capitale è di ben 33,9 miliardi di $, pari al 45% di tutte le nuove capitalizzazioni che dovrebbero essere effettuate dai 10 istituti di credito e finanziari che non hanno superato lo "stress test".

C'è chi è già corso ai ripari: Wells Fargo e Morgan Stanley hanno annunciato un aumento di capitale per rispettivi 6 e 2 miliardi, ma dall'esame dello "stress test" la necessità di capitale di Wells Fargo sarebbe di 13,7 miliardi, mentre quella di Morgan Stanley di "soli" 1,8 miliardi; e quest'ultima emetterà inoltre 3 miliardi di debito senior non garantito dalla FDIC. Prudente Morgan Stanley? Troppo ottimista Wells Fargo rispetto alle necessità di nuovo capitale? O forse non è così vero, come asserivano Bernanke e Geithner da bravi "smooth operators", che per le 10 banche USA bisognose di nuova ricapitalizzazione sarà relativamente agevole far ricorso al mercato, senza quindi chiedere nuovi aiuti allo Stato?

Forse niente di tutto questo. In realtà occorre ben intendersi sul vero significato dello "stress test": le necessità di nuovo capitale, indicate complessivamente in 74,6 miliardi di $, sono relative al PEGGIOR SCENARIO possibile per l'economia USA. Che farà Bank of America, la banca più "stressata" (anche per effetto dell'acquisizione di Merrill Lynch)? Più che aumenti di capitale dovrebbe effettuare cessioni, anche se le più importanti – Columbia Management e First Republic – dovrebbero generare introiti per "soli" 10 miliardi, e altri 7 dovrebbero provenire dal miglioramento dei risultati del gruppo. Il che porta a circa la metà dei nuovi mezzi richiesti dallo "stress test": più o meno la stessa percentuale di copertura che sta effettuando Wells Fargo col nuovo aumento di capitale. Entrambe le banche quindi sembrano confidare nel fatto che l'economia USA non raggiungerà il "worst case scenario" previsto nello "stress test".

Cosa succede intanto in Europa? Nelle settimana appena trascorsa sono usciti i risultati trimestrali di quasi tutte le maggiori banche, dai quali non emergono in realtà particolari preoccupazioni sul lato patrimoniale – pressoché tutti gli istituti presentano Tier I Ratio e Core Capital Ratio superiori a quanto richiesto dalle autorità di controllo – ma si evidenziano trend ben definiti per quanto concerne i conti economici. In poche parole: i proventi operativi sono in netta ripresa – in parte per lo sviluppo dell'attività di prestiti a banche e imprese, in parte per il miglioramento dell'andamento dei mercati che ha portato a minori perdite su attività finanziarie – ma la forte crescita della parte alta del conto economico è stata in gran parte, se non del tutto, "azzerata" dall'"esplosione" delle rettifiche su crediti e svalutazioni, necessarie in seguito a un generale peggioramento della qualità del credito.

Sarà così anche per le banche italiane? Molto probabilmente sì, anche se le caratteristiche "difensive" che finora le hanno relativamente protette da gravose perdite su asset tossici potrebbero determinare un andamento molto meno brillante rispetto alle consorelle europee per quanto riguarda i proventi derivanti dall'attività bancaria "tradizionale" (prestiti a famiglie e imprese), sia per la forte contrazione degli spread, sia per la minor domanda di credito conseguente alla recessione economica.

Questa è forse la chiave del comportamento particolarmente prudenziale sfociato in un certo senso nel "credit crunch" per le banche nazionali: la consapevolezza di non poter agire se non in misura limitata sui ricavi da attività "tradizionali" e nello stesso tempo di essere inevitabilmente esposte alla necessità di maggiori rettifiche su crediti può aver spinto le banche a una selezione ancor più accurata, forse in qualche caso anche "pignola", dei clienti a cui concedere credito. Ma dal loro punto di vista può esser forse sembrata una "scelta obbligata" per difendere i conti aziendali.

Nella settimana dall'11 al 15/5 in Italia sono previste le presentazioni dei risultati trimestrali di Banca Generali e Buongiorno (11/5), Mediaset, Mediobanca e Sabaf (12/5), UniCredit Group (13/5), A2A e Intesa Sanpaolo (14/5), Hera, Monte dei Paschi di Siena e STMicroelectronics (15/5). A livello internazionale, molto atteso è il discorso che Ben Bernanke terrà il 12/5 sugli "stress test". (Analisi Mercati Finanziari)

  CONTINUA ...»

8 maggio 2009
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