Nata negli anni Settanta del secolo scorso in Medio Oriente, la finanza islamica segue la Sharia, la legge islamica, che fissa in materia di finanza tre principi capitali: il divieto di chiedere interessi (riba), considerati una forma di usura; la condivisione dei rischi e dei profitti tra creditore e debitore e, infine, l'obbligo di appoggiare tutte le transazioni finanziarie su di un attivo reale, e ciò in teoria esclude il ricorso a prodotti derivati.
Secondo i precetti del Corano, il denaro non può quindi stare fermo e generare altro denaro. Per crescere deve essere investito in attività concrete e produttive (come ad esempio gli immobili).
Le banche islamiche si distinguono così in modo sostanziale dalle banche occidentali. Ad esempio, piuttosto che concedere un mutuo a una persona che vuole comprare una casa, riscuotendo in cambio un interesse sul prestito, la banca acquista direttamente la casa e poi la concede in affitto al cliente, che si impegnerà a versare la cifra corrispondente in più rate mensili, pagando una commissione sul servizio ottenuto. Quando avrà pagato tutte le rate, il cliente diventerà il proprietario della casa.
Da quando sono nate, le banche islamiche sono cresciute a un tasso annuo del 15 per cento, e il loro giro d'affari attuale è pari all'1 per cento del mercato finanziario globale. Le stime disponibili parlano di risorse pari a circa 750 miliardi di dollari, ma secondo le previsioni alla fine del 2015 queste potranno arrivare fino a 2.800 miliardi. Anche i Sukuk, le obbligazioni islamiche, hanno conosciuto un grande sviluppo. Basti pensare che solo nel 2007 le emissioni di titoli conformi alle leggi coraniche hanno superato i 30 miliardi di dollari.