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Più donne nei board: ecco i primi sì

di Monica D'Ascenzo

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28 ottobre 2009
I numeri

Senza la legge ci vorranno 60 anni per arrivare ad un presenza femminile pari al 30% nei consigli di amministrazione delle società quotate. Il paradosso è stato sottolineato ieri alla presentazione del comitato d'opinione a sostegno della proposta di legge dell'onorevole Lella Golfo sul riequilibrio della presenza di genere nei cda delle quotate. Dal 1998 al luglio scorso si è passati dal 3,4% al 6,3% nella percentuale di donne che occupano una posizione nei board delle società quotate e non. Un passo di crescita, secondo Livia Amidani Aliberti fondatrice di Aliberti Governance Advisors, davvero troppo lento. «Occorre uno strumento legislativo per cambiare un trend desolante che esclude le donne dai cda delle aziende - ha spiegato Lella Golfo, deputata del Pdl e presidente della Fondazione Marisa Bellisario - Da qui la mia proposta di legge per invertire una situazione che al momento vede in Italia un misero 4% di donne nei board delle quotate».
A seguito della presentazione della proposta di legge sono state interpellate le società per avere un contributo concreto. «Nel condividere pienamente lo spirito del progetto di legge, orientato, nello specifico, a riequilibrare l'accesso alle cariche direttive delle società quotate in Borsa - scrive Franco Bernabè, amministratore delegato di Telecom Italia - auspico che tale intervento si collochi in un quadro normativo del tutto rispettoso dell'imprescindibile esigenza di garantire piena autonomia alle società ed ai mercati cui esse fanno riferimento». Il gruppo Pirelli, in una lettera del presidente Marco Tronchetti Provera, rilancia: «A mio parere sarebbe opportuno accompagnare tale disegno di legge con altre azioni tese ad ampliare l'intero bacino di diversità (anche e soprattutto di genere) partendo dal basso e quindi dalla promozione delle competenze femminili nel mondo del lavoro e più in particolare nelle posizioni dirigenziali. Volendo, comunque, cominciare ad agire sui cda, si potrebbe pensare ad un approccio graduale all'obiettivo ad esempio prevedendo in prima battuta l'inserimento di quote rosa (e le percentuali potrebbero addirittura essere più sfidanti) nella costituzione delle liste di candidati presentate, sia dalla maggioranza che dalle minoranze dei soci». A favore del provvedimento si sono espresse anche Ies, Bonifiche Ferraresi, Sias, Rcf Group, Aeroporto Toscano Galileo Galilei. Hanno, invece, risposto proponendo alcune integrazioni Autostrada Torino Milano e Seat Pagine Gialle.
Le resistenze all'inserimento di quote rosa per legge permangono, ma ieri Morten Huse, professore ordinario di management e organizzazione alla Norwegian Business School, ha ricordato: «In Norvegia se non fosse stata introdotta la legge, le cose non sarebbero cambiate. I dibattiti e le discussioni sul tema non bastano. L'importante è sottolineare che quando la donna è sola all'interno del cda, è portata a seguire le dinamiche maschili. La situazione cambia, invece, quando le donne sono almeno tre e diventano così massa critica».
Se in Norvegia a seguito della legge sull'obbligo di quote rosa al 40% la presenza femminile nei cda ha raggiunto il 44%, la situazione nei diversi paesi europei resta ancora molto variegata: 26,9% in Svezia, 25,7% in Finlandia, 18,1% in Danimarca, 12,3% in Olanda, 11,5% in Gran Bretagna fino a scendere al 7,8% in Germania e al 7,6% in Francia. Ma resta molto diversificata la situazione anche tra società e società: «In Francia - ha osservato Andrea Goldstein, senior economist development centre dell'Ocse - ci sono esempi positivi come Michelin e L'Oreal accanto a situazioni paradossali come quella di Carrefour nel cui cda non siede nessuna donna, pur essendo il suo target di mercato principalmente femminile».
Tornando all'Italia Marina Brogi, ordinario di economia dei mercati finanziari all'Università La Sapienza ha posto l'accento «sulla sproporzione esistente tra il numero e la qualità delle laureate e la percentuale di esse che riesce a raggiungere ruoli di vertice». Al convegno era presente anche Diva Moriani, l'unica donna non proveniente da una famiglia azionista a ricoprire cariche in tre diversi cda in Italia, che ha sottolineato la «concreta possibilità di conciliare carriera e tempi di vita familiare. Occorrono modelli positivi di donne che ce la fanno. Ben venga, perciò, questa legge per cambiare la cultura del nostro paese».

28 ottobre 2009
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