Il vertice del gruppo Cadbury (5,4 miliardi di sterline il fatturato 2008, stabilimenti in tutto il mondo, 72mila dipendenti) non ha tempo di cantare vittoria per lo scampato pericolo di Opa ostile firmata da Kraft. Consci di questo, ai piani alti della sede londinese, nella City of Westminster, si starebbe abbozzando un progetto di alleanza con un gruppo amico formato da investitori finanziari e industriali, tra i quali figurerebbe la Ferrero di Alba.
Respinto una settimana fa anche il secondo attacco in meno di due mesi degli americani, il Ceo del gruppo inglese, Roger Carr, sa bene che è proprio questa la fase più delicata da controllare. E sa perfettamente che non basta avere bollato come «ridicola» la seconda offerta Kraft da 9,8 miliardi di sterline (in ribasso rispetto ai 10,2 miliardi proposti a settembre), ma è necessario dovere ripensare a una nuova strategia. Che non sia più solo quella di chiudersi a riccio.
Gli americani, infatti, hanno già fatto trapelare l'intenzione di volere contattare direttamente con una lettera gli azionisti di Cadbury, proponendo loro ciò che il management ha rifiutato. E non è escluso che in questa occasione (per l'invio della lettera c'è tempo fino ai primi giorni di dicembre) propongano un prezzo più congruo, comunque in linea con i valori di borsa. Una scelta, questa, dettata dalle voci sempre più insistenti nella business community che vogliono Cadbury nel mirino del maggiore player mondiale del settore dolciario. Vale a dire il gruppo Nestlé, alleato per l'occasione con gli americani della Hershey, acerrima concorrente di Kraft.
È in questo quadro che si inserisce la novità dell'ultima ora. Che vuole tra le due opzioni in fieri, farsi strada una terza (sempre in fieri) destinata a scompaginare i disegni delle due grandi multinazionali. Per due buone ragioni. La prima, che si tratterebbe di una cordata formata da investitori finanziari, private equity e industriali considerati alleati degli inglesi, ai quali Cadbury aprirebbe le porte per una partnership di rilievo.
La seconda è che il partner industriale è un nome italiano di primissimo piano nel business dolciario, nonché numero quattro nella cioccolateria a livello mondiale. Ovvero il gruppo Ferrero di Alba (6,2 miliardi di euro il consolidato 2007-08, 18 stabilimenti e 21.400 dipendenti). Al lavoro su questo dossier c'è ovviamente un calibro da novanta della finanza italiana, la banca d'affari Mediobanca, che tra l'altro ha proprio i Ferrero nel patto di sindacato. Interpellati dal Sole 24 Ore, la risposta di Piazzetta Cuccia e quella del gruppo Ferrero è stata unanime: «no comment». In realtà, è noto negli ambienti finanziari che Mediobanca e i Ferrero abbiano discusso, eccome, dell'operazione-Cadbury.
Di fronte al muro del silenzio dei potenziali protagonisti, non resta che osservare due cose: l'iniziativa made in Italy, da un lato sarebbe una via di fuga intelligente per Cadbury di rompere l'assedio dell'Opa ostile e, dall'altro, offrirebbe a Ferrero un'opportunità storica di ulteriore crescita. È noto che il patriarca del gruppo di Alba, l'ottuagenario Michele Ferrero, è sempre stato contrario alla crescita per acquisizione. E tuttora resta di questa opinione. Tuttavia i figli Pietro e Giovanni, ambedue Ceo e da tempo alla guida del gruppo, sanno bene che questa operazione potrebbe essere l'attimo fuggente per compiere il salto decisivo. E si sa che Ferrero, pur forte in molti paesi del mondo, di fatto è assente nel mercato più ricco del cioccolato. La Gran Bretagna. Insomma, la partita è nelle mani dei Ferrero: vincerà la linea della prudenza o quella di una coraggiosa (ma per alcuni ardita) crescita internazionale con una grande acquisizione?