Si accentuano su più fronti a livello mondiale i segnali di ripresa dell'economia ma dagli Stati Uniti giungono nuovi moniti a non considerare con troppa precipitazione terminata la fase più dura della crisi. Nel corso del solo ultimo weekend, sono fallite ben altre 9 banche, il maggior numero dall'inizio della crisi finanziaria ad oggi. Il totale dei fallimenti bancari è così salito a 115 dall'inizio del 2009 ad oggi, il livello più alto dal 1992 e gli analisti ritengono che l'emorragia sia destinata a prolungarsi perché molte banche regionali sono fortemente esposte al mercato immobiliare ad uso commerciale, il cui declino è tutt'altro che vicino al termine. E non sono solo le piccole banche a dover gettare la spugna: tra le nove prese in carico dalla Fdic venerdì (per essere poi cedute a Us Bancorp) vi è anche la California National Bank, cui è toccato il triste primato di quarto maggior fallimento bancario dell'anno. Ma il momento clou è arrivato ieri sera con l'entrata ufficiale in amministrazione controllata di Cit Group, una finanziaria indipendente attiva dal 1908 che eroga credito a oltre 2000 grossi fornitori che a loro volta servono circa 300.000 commercianti. La bancarotta di Cit Group era nell'aria da tempo e la Casa Bianca aveva usato tutta la sua influenza per cercare di evitare il fallimento di quello che è considerato un attore di primo piano del mercato del credito. Oberato da debiti per 64,9 miliardi a fronte di attività per 71, Cit non è riuscito a convincere gli obbligazionisti ad accettare uno scambio debiti/azioni che gli avrebbe permesso di ridurre il passivo di 5,7 miliardi. Di qui la decisione di entrare in amministrazione controllata, il che significa rendere carta straccia tutte le azioni ordinarie e privilegiate, incluse quelle per 2,3 miliardi di dollari detenute dal governo americano in cambio degli aiuti forniti alla fine dell'anno scorso. A livello più generale, l'entrata in amministrazione controllata di Cit Group e il contemporaneo fallimento di nove istituzioni bancarie conferma come la partita cruciale della ripresa si giochi proprio attorno al risanamento del sistema finanziario. Questo processo è tutt'altro che completato e minaccia di provocare ancora molti dolori. A fronte di una disoccupazione in costante aumento (potrebbe arrivare già al 9,9% negli Usa in ottobre, il dato sarà reso noto venerdì), sono in crescita le sofferenze sulle carte di credito e i continui fallimenti di aziende e piccoli commercianti si traducono in spazi lasciati vuoti e in un deprezzamento del valore delle unità commerciali. Inoltre i colossi bancari nascondono ancora nei loro libri asset sofferenti per diverse centinaia di miliardi di dollari e gran parte dei finanziamenti ricevuti dal governo tramite i fondi Tarp e dalla Fed tramite le aste a lungo termine sono stati utilizzati sino ad ora più per finanziare operazioni di trading che non per estendere nuovi crediti alle imprese e alle famiglie. In quella che appare destinata e essere una jobless recovery, cioè una ripresa troppo debole per poter creare nuovi posti di lavoro in misura significativa, il nodo del credito rimane dunque cruciale e gli eventi di questo ultimo weekend confermano che lo stato di salute del paziente è tutt'altro che confortante. La ripresa per ora è finanziata dagli investimenti statali e dall'enorme massa di liquidità immessa dalle banche centrali che stanno contribuendo a mantenere in moto i meccanismi dell'economia ma il motore autonomo, quello dei consumi privati, per il momento rimane in panne come confermato venerdì dal calo delle spese per i consumi in settembre (-0,5%). Una performance che ha preoccupato i mercati e ridato fiato agli orsi dopo settimane di dominio incontrato dei tori. Quello che appare certo è che lo scenario macroeconomico appare troppo incerto al momento per potersi permettere di abbassare la guardia. Come dimostrano le innumerevoli aziende in crisi anche sul fronte europeo, di ripresa si potrà veramente parlare quando sarà tornato a circolare il credito nel sistema produttivo e i privati potranno nuovamente far conto sulle loro banche per finanziare i consumi.