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Settimana di Borsa: Wall Street
guidata solo dalla liquidità

di Walter Riolfi

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5 dicembre 2009

Dopo aver visto quello che è successo ieri a Wall Street, siamo ancor più convinti che a muovere la Borsa sia (quasi) solo la liquidità. E che questa liquidità sia soprattutto quella generata da flussi speculativi, come il carry trade sulle valute o la generosa disponibilità di denaro a buon mercato assicurata dalle banche centrali. I fondamentali o la macroeconomia contano nel medio lungo periodo: ma, nel breve, chi opera con i patrimoni di proprietà delle grandi banche, con i fondi quantitativi (ad alta frequenza) o chi fa il day trader di professione guarda ad altri fattori che per comodità definiamo tecnici. E queste categorie di investitori fanno assieme oltre tre quarti dei volumi di Borsa.

Quando il Bureau of Labor Statistics ha annunciato ieri un calo degli occupati nettamente inferiore alle attese, l'S&P è volato in alto, imitato dal petrolio, dal rame e dai rendimenti dei titoli di Stato. E, ovviamente, è risalito il dollaro su tutte le valute. L'unica apparente sorpresa è stato vedere scendere l'oro. Le reazioni erano comprensibili. La Borsa (come pure le materie prime) andava su perché migliorava l'economia. Il dollaro guadagnava perché, migliorando le cose, la Fed avrebbe rialzato prima i tassi: cosicchè anche i Treasury avrebbero finito per rendere di più. Ma l'oro è rimasto un enigma. Perché avrebbe dovuto scendere se lo si acquista a protezione dell'inflazione? Forse s'è voluto semplicemente adeguarne il prezzo (saliva il dollaro), se non fosse che le sue quotazioni si sono ridimensionate anche se espresse in yen o in euro. Ma sull'oro dobbiamo confessare un'ignoranza ancor più profonda che per gli altri mercati, non avendo capito per quali motivi lo stiano comprando gli investitori.

Tutti questi ragionamenti non valevano più un'ora e mezza più tardi. Perché nel tardo pomeriggio, Wall Street ha iniziato a scendere precipitosamente (e così pure hanno fatto petrolio e rame) finendo per un po' anche negativa. È il solito carry trade, s'è pensato. O, meglio, il suo contrario, visto che in questo caso si sono chiuse le posizione «corte» (ribassiste) sul dollaro. Gli operatori, insomma, si sono ricomprati la valuta Usa, liquidando gli investimenti finanziati in precedenza: azioni, materie prime, bond societari. Il dollaro è difatti risalito a 1,483 sull'euro e ha guadagnato sensibilmente anche sul paniere delle sei maggiori valute, recuperando di fatto i livelli di due mesi fa. Due classi di attività finanziarie non hanno subìto la repentina inversione: i titoli di Stato che hanno proseguito a esprimere rendimenti più alti (segno che qualcuno crede alla ripresa economica) e l'oro che è rimasto a 1.155 $ (segno che la logica che lo muove continua a esserci sconosciuta).

Senza voler scivolare nel meccanicismo, Wall Street continuerà a muoversi nel breve in maniera inversa al dollaro e da questa correlazione dipenderà l'esito del rally di fine d'anno che tanti s'aspettano come fosse una tradizione. Ma un giorno o l'altro anche il carry trade non funzionerà più, quanto meno sul dollaro. E a deciderlo sarà soprattutto la Fed con la sua politica monetaria. Ieri gli operatori attribuivano il 45% di probabilità a un rialzo dei tassi all'1% entro novembre 2010. E per quella data il consenso, nemmeno unanime, vedrebbe un rialzo massimo dello 0,5%: che sarebbe troppo poco per far inceppare il meccanismo del carry trade sul biglietto verde.

Il fatto è che la Fed non sembra affatto intenzionata a modificare politica e mostra di voler credere a una ripresa lenta e insicura (per dirla con le parole di Charles Plosser della Fed di Filadelfia). E curiosamente pure la Casa Bianca tende a smorzare gli entusiasmi. Come giovedì, quando una nota del portavoce segnalava tutta la preoccupazione per una disoccupazione destinata a crescere nei prossimi mesi. Invece ecco il miracolo di appena 11mila posti di lavoro persi a novembre: di fatto l'unica buona notizia giunta dall'economia in settimana. Nella quale l'S&P ha recuperato l'1,3% (+2,6% il Nasdaq) e lo Stoxx il 2,7% (+3,4% Parigi, +3,2% Milano, +2,3% Francoforte, +1,5% Londra).

5 dicembre 2009
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