Manager, head hunter e specialisti sono d'accordo. La «madre di tutte le battaglie contro i bonus» si è combattuta a Londra, nel maggio del 2003. L'allora Ceo della Glaxo, Jean Paul Garnier, viene contestato dall'assemblea degli azionisti. È stata la prima volta che gli azionisti hanno votato contro bonus e stipendi d'oro dei top manager. I piccoli risparmiatori hanno giocato un ruolo chiave nella "rivolta": per mettere in caricatura Garnier lo hanno raffigurato come un "grasso gatto" che mangia una ciotola di "tripla panna". Da allora di acqua ne è passata sotto i ponti, ma solo giovedì il presidente Usa Barack Obama ha tuonato contro i «bonus osceni dei banchieri».
E oggi se accenni l'argomento con qualunque banca, o top manager del settore, si chiudono tutti a riccio. L'argomento è bollente. In Italia il picco dei bonus era stato raggiunto nel 2007. Un'inchiesta del Sole 24 Ore aveva messo in evidenza come i premi di risultato per i più alti dirigenti delle banche italiane quotate fosse stato pari a 100 milioni di euro.
Già nel 2008 c'è stata una prima flessione. Il primo a uscire allo scoperto era stato Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, tra le vittime dello tsunami finanziario: «Quest'anno niente premio». Un "outing" addirittura sancito, qualche settimana dopo, da un comunicato stampa del 18 dicembre 2008. Ma per quest'anno hanno tutti la bocca cucita.
In questo scenario molto delicato, la parte del leone la gioca il governatore di Bankitalia, Mario Draghi.
In effetti in Italia molte banche, spiegano gli esperti Hay, stanno ripensando pesantemente i sistemi di incentivazione sotto la stretta supervisione della Banca d'Italia. La nuova normativa (le disposizioni di Vigilanza di Bankitalia del marzo 2008 e il documento del Financial stability board del settembre 2009) è tesa a ridurre la propensione al rischio e a rafforzare il legame tra retribuzione e performance di lungo termine.
Per fare questo impone alle banche alcuni accorgimenti sui sistemi di incentivazione e richiede una componente variabile della retribuzione che sia in grado di bilanciare quella fissa (rafforza cioè il legame tra retribuzione percepita e performance) e stabilisce che parte di essa sia pagata con strumenti equity (tra cui le stock option). La richiesta nasce per scongiurare i pagamenti a fronte di risultati non positivi per gli azionisti.
Ma come reagiscono gli istituti bancari? In Italia, la necessità di adeguarsi a queste regole Bce stringenti sta portando molte banche ad introdurre, o ampliare, una componente che fino ad oggi era stata molto meno diffusa di quanto non si creda: «Penso all'incentivazione a lungo termine – spiega Guido Cutillo, director di Haygroup –. Dalle nostre ricerche internazionali è sempre risultato evidente come la componente variabile della retribuzione avesse in Italia un peso decisamente inferiore rispetto a quanto avviene in altri contesti, in particolare Usa, ma anche Gran Bretagna, Francia e Germania».
Secondo le stime Hay, in linea di massima si può dire che in Italia per il top manager di una banca media il pacchetto retributivo sia oggi costituito dal 55% di fisso, dal 30% di bonus annuale e dal 15% di incentivo di lungo termine. Mentre in Europa il fisso è circa il 30% del totale (va però tenuto presente il diverso profilo delle banche del made in Italy, maggiormente focalizzate sul retail e più legate al territorio che al trading).
Anche se ogni primavera, quando si stilano le classifiche degli stipendi pagati dalle società quotate, la gente comune balza sulla sedia, «non è affatto vero – conclude Cutillo – che i nostri manager siano inondati da stock option. Se esaminiamo i primi dieci gruppi finanziari italiani, meno della metà aveva lanciato piani di incentivazione manageriale di lungo termine negli anni immediatamente precedenti la crisi». Gli analisti di Hay hanno fatto delle elaborazioni che mettono in evidenza l'incidenza della parte variabile dello stipendio rispetto al fisso.
Da queste ricerche emerge che «la maggior parte dei dirigenti bancari prende bonus che sono intorno al 20-25% della retribuzione fissa. Si tratta di una cifra più alta, ma non di molto, rispetto a quanto avviene in Italia nell'industria e nei servizi».
Aggiunge Sandro Catani, executive compensation advisor di New bridge street: «Il Financial stability board, presieduto da Draghi, è in pratica il braccio operativo del G20 sul versante bancario e finanziarie. Ha messo a punto degli standard che devono essere implementati dalle singole authority nazionali».
Per Catani bisogna tenere in considerazione alcuni elementi che porteranno a tagliare ulteriormente i bonus bancari distributi questa primavera in base alle performance del 2009, un "annus horribilis": «Oltre alla governance, utile alla trasparenza, ci sono almeno due altri fattori chiave da tenere in considerazione. Il principale è legato al fatto che bisogna spalmare su più anni il bonus maturato. Il secondo, ancora più pericoloso per i manager, è la cosiddetta clausola di «claw back» in base alla quale i premi possono essere "ritirati" dall'azienda. Che cosa significa? Che il premio viene liquidato subito, ad esempio solo per un terzo. E pagato (in genere per metà con strumenti finanziari sottoposti alla clausola di "lock up"), mentre la parte rimanente resta differita. In sostanza i top manager incasseranno meno. E a rischio».

 

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